XXV Domenica ordinario B – “ Il più grande sia il più piccolo”

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
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Sembra proprio che Gesù non sia un esperto in comunicazione perché, ancora una volta, il suo discorso non solo è impopolare ma ribalta tutto un modo di pensare che oggi è molto diffuso, e che sembra fosse diffuso anche fra i suoi discepoli, ma che è antico quanto l’uomo.
Mentre Gesù sta parlando della fine che lo attende a Gerusalemme cosa fanno i suoi, come fanno anche oggi molti che si dicono cristiani pensano alla futura nomenclatura del partito del Regno. Chi sarà il più grande, potremmo dire il primo ministro, il premier, chi avrà questo o quell’ altro incarico che comunque potrà appagare in qualche modo la sua effimera vanità di apparire.
Questa è la ricerca di grandezza secondo il mondo. A questa Gesù ne contrappone un’altra diversa e sconvolgente, quello del bimbo.

“E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».”

Un bambino non è una risorsa se non in una prospettiva futura, ha bisogno di protezione, quello che apprendevano ai tempi di Gesù era quello che gli insegnavano e tramandavano i genitori, con le parole, ma ricordando anche le tradizioni dei padri.
Educare con il comportamento più che con le parole è valido tuttora oggi e ogni genitore, ogni tanto dovrebbe fermarsi e riflettere se lo sta facendo.
Ma torniamo al testo del Vangelo.
Chiediamoci che significato può avere il gesto compiuto da Gesù, per i suoi cosi intenti alla ricerca di posti di prestigio, per noi cristiani che siamo chiamati a seguire la via che ci è stata insegnata da Lui, ma anche per chi non si professa cristiano

La prima cosa da dire è che egli si identifica affermando che chi accoglie un bambino in suo nome accoglie lui stesso. Qui il nostro pensiero, per noi che celebriamo l’ Eucaristia dovrebbe andare a tutti quei bambini che non trovano accoglienza per le più disparate ragioni, ma anche a quelle madri che hanno accolto il figli che portavano in grembo a scapito della loro vita.

Ancora veniamo messi in crisi pensando ai piccoli, cioè a tutte quelle persone che sono poste ai margini, che vengono private della loro dignità e del necessario per vivere e sopravvivere. Ho ricevuto una lettera da un ospedale di una missione in Centrafrica e mi si diceva che con un euro una famiglia di 3-4 persone mangia anche tre giorni.

Quel bimbo Gesù lo mette “in mezzo e lo abbraccia”. È una modalità quella che ci viene indicata. I piccoli, gli esclusi, gli ultimi devono essere al centro ed essere abbracciati. L’ abbraccio significa vicinanza, un abbraccio comunica affetto, calore esprime di più di tante parole anche sulla solidarietà di cui tanti soloni si infarciscono la bocca, anche in ambito ecclesiale. Vicinanza e attenzione, ciascuno secondo la propria possibilità così che i poveri si sentano abbracciati. Anche noi siamo stati abbracciati, certamente dai nostri cari, da coloro che ci vogliono bene, ma anche da chi ci dona la vita giorno per giorno. Noi cristiani poi lo siamo stati in modo del tutto particolare nel giorno del nostro Battesimo.

Ripensiamo anche all’ atteggiamento che hanno i bambini che si abbandonano con fiducia lasciandosi prendere per mano dai genitori e che quando sono spaventati o malati cercano rifugio fra le loro braccia. Guardate che diciamo di credere, carissimi dobbiamo farlo anche noi nei confronti di Dio, noi che diciamo di credere. In una società che vuole la competizione e in cui tutti vorremmo primeggiare Gesù alla logica mondana contrappone la logica del servizio.

«Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».

Servire non è facile, perché chi vorremmo servire a volte non si lascia servire, magari perché intimorito da ansie, dubbi. “Perché questa persona vuole fare questo per me?”; oppure per la propria caparbietà. Chi si mette a servire deve accompagnare poi il proprio servire dalla grande dote dell’umiltà, assai in disuso in questi tempi in cui tutti si fanno maestri e non servi.

Poi vi è quel tutti, che vuol dire proprio tutti, superando ogni particolarismo, ogni categorizzazione nella quale siamo così bravi ad inserire quel prossimo che ogni giorno incontriamo.

“Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.

Questa è la via che Gesù indica ai suoi, avremo il coraggio di seguirlo su questa strada? Io prima di tutti?

Deo gratias, qydiacdon

Mon Seigneur † et Mon Dieu † - Page 259

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