Qualità della vita? Rispondono Maria e Dorotea Quelle vite (imperfette) che ci parlano del Paradiso

Abbiamo sentito spesso in questi giorni parlare di “qualità della vita”. Ne abbiamo sentito parlare in relazione al noto caso di Charlie Gard. Il bambino inglese di 11 mesi condannato a morte da ben tre sentenze in ragione – appunto – di una “qualità di vita” ritenuta troppo bassa per essere degna. Ma non è certo la prima volta. Di “qualità della vita” ne sentiamo parlare silenziosamente tutti i giorni, nelle migliaia di aborti consumati: che sia quella della madre o del figlio, è sempre lei che si invoca ogni qual volta si decide di spezzare una vita in grembo. Matrigna dell’autodeterminazione, la “qualità della vita” sta diventando il criterio legale e legittimo, che permette all’uomo di stabilire quando e per quanto è consentito vivere. Charlie, purtroppo, con le sue tragiche condizioni, è stato il classico caso-estremo che è servito a far digerire la strategia anche ai più restii. Spostando il limite da dentro a fuori: dall’aborto, all’eutanasia. Ma rotto l’argine, chi si ferma più? Se non fosse ancora chiaro: la degna ”qualità della vita” è una colossale menzogna, una trappola di dimensioni gigantesche. Perché? Ve lo raccontiamo con due storie.

La prima è quella di Maria e della famiglia Stewart.

La piccola Maria è nata senza gambe, senza braccia e a pochi mesi di vita è stata abbandonata in un orfanotrofio delle Filippine. Ebbene, ora si risponda: che qualità di vita può avere una bambina monca di tutti gli arti? Quale efficienza? Quale autonomia? Quali capacità performanti? Fortuna non ci dobbiamo inventare nulla perché ci pensa la realtà a rispondere, spazzando via ogni ideologia. “Lei era così bella e così coraggiosa, ci ha regalato un mare di sorrisi e di risate. Alla fine della giornata eravamo totalmente innamorati di lei”, così Adrianne e Jason Stewart raccontano il loro primo incontro con Maria nel giorno in cui dallo Utah (Usa) sono volati nelle Filippine per portarsela a casa come una figlia. I coniugi Stewart infatti, già genitori di due figlie naturali e uno adottivo, avevano dato la loro disponibilità per una seconda adozione. In verità, non avevano mai pensato alla possibilità di accogliere un piccolo con gravi disabilità. Quando però l’organizzazione per le adozioni, invia loro una lista di bambini con difficoltà a trovare famiglia, tra le fotografie c’è anche quella di Maria. “Siamo rimasti immediatamente conquistati dalla bellezza del suo sorriso – racconta mamma Adrianne – e subito abbiamo sentito che quella bambina avrebbe dovuto far parte della nostra famiglia”. Le paure per una scelta tanto coraggiosa non mancano e vengono amplificate dai grovigli burocratici dell’iter adottivo e dai lunghi tempi di attesa. Tutto però trova la sua pace in una sola certezza: “Quando abbiamo visto nostra figlia, non pensavamo di essere qualificati o sufficientemente preparati per crescere una bambina come lei, nata senza braccia né gambe, ma sapevamo che l’avremmo potuta amare con tutti noi stessi. E che darle amore sarebbe stata la cosa più importante!”, ha dichiarato Adrianne.

Maria e il papà

Maria oggi ha quattro anni e sbaglierebbe chi pensasse che la sua vita è ridotta ai minimi termini date le sue gravi condizioni. In un video straordinario pubblicato dalla famiglia, si vedono gli incredibili progressi che la piccola ha fatto smentendo ogni previsione medica, solo grazie all’amore e alla dedizione di tutti i membri della sua famiglia. “A volte – spiega la mamma – mettiamo dei limiti alle sue capacità, ma poi la vediamo fare esattamente ciò che pensavamo non sarebbe mai stata in grado di fare”. E infatti le immagini di Maria che nuota in piscina con papà, che ascolta la musica con grandi cuffie rosse e muove il corpicino a ritmo, che ride a crepapelle e si indispettisce quando i fratelli non capiscono le sue parole, che impara persino a mangiare, a dipingere, a scendere dalle scale da sola, ebbene tutte queste immagini riempiono il cuore di gioia. Sono immagini che fanno innamorare della vita. E non perché Maria, nelle sue condizioni, è diventata capace di fare ciò che noi tutti senza pensarci sappiamo fare, ma perché Maria è pura gioia. Perché il suo cuore è evidentemente nella gioia e perciò è contagioso. Perché Maria – con tutto ciò che è e che non è – grida al mondo che la consistenza della vita è l’amore. Che la qualità della vita, qualunque sia la condizione, sta solo nell’Amore che ci fa essere in ogni istante. “Averla nella nostra famiglia – dice la sua mamma – è una benedizione immensa. Ha reso tutti noi delle persone migliori”.

La seconda storia è quella di Dorotea e della sua meravigliosa famiglia. Caterina e Alex si sposano molto giovani, Caterina ha solo 20 anni, non ha nemmeno terminato gli studi; i ragazzi, perciò, si domandano se è il caso di aprirsi alla vita sin da subito. Esemplare la risposta che arriva dal padre spirituale della coppia: “Se voi inizialmente non volete un figlio, ma vi aprite alla vita ed il Signore ve lo dona, vedrete che sarà proprio un figlio di Dio e penserà a tutto Lui”. E così fu. Dopo solo quattro mesi di matrimonio la coppia è in dolce attesa, ma la notizia non arriva sola: “Al quinto mese di gravidanza – racconta Caterina – ci dicono che la bambina ha dei problemi: già nell’utero si vedono diverse fratture ossee. Dopo innumerevoli visite ecografiche, a nostra figlia viene diagnosticata un’osteogenesi imperfetta di forma letale. Ci dicono che le sue ossa sono talmente fragili che non avrebbe potuto sopravvivere al parto. Nonostante i medici ci prendessero per pazzi e ci consigliassero a più riprese l’aborto, per noi il problema non si poneva: la piccola sarebbe nata”. E infatti il 22 giugno del 2007 nasce Dorotea, che significa “dono di Dio”. “Come avevo presentito nel mio cuore – continua Caterina – tutta la forza che le mancava nelle ossa, Dorotea l’aveva in abbondanza nell’anima e nel carattere”. I medici la davano per spacciata già prima che nascesse, invece oggi la piccola ha 10 anni. Nonostante la forza di Dorotea e dei suoi genitori, la situazione non è affatto semplice. Si tratta di una malattia genetica assai grave e rara che porta alla malformazione ed al disfacimento delle ossa attraverso un meccanismo di cellule che entrano “in conflitto” tra di loro. I momenti di pesante fatica e di crisi non mancano: “Essere impotente di fronte al dolore di un figlio penso sia la croce più grande e profonda che un genitore possa vivere. Ma vedere come la nostra bambina reagisce di fronte a questa sofferenza sia del corpo – per le innumerevoli fratture che subisce da quando è nata – sia morale, rendendosi conto della sua diversità e dei suoi limiti, ci meraviglia ogni giorno. Nonostante abbia anche lei i suoi momenti di crisi, è incredibile vedere il suo spirito di ripresa e la sua voglia di vivere. Mi stupisce sempre osservare in lei quanta vita, forza, e carattere ci siano in un corpicino tanto fragile”.

Ma c’è di più: “Dorotea – raccontano ancora i genitori – ha trasformato le nostre vite da ordinarie a straordinarie . Ci ha fatto uscire dai nostri schemi, dalla nostra voglia di vivere una vita borghese, programmata, tranquilla. Voglia che – per carità – ogni tanto ancora si fa sentire, ma nostra figlia ha sconvolto tutto il nostro mondo, facendoci capire che la vera felicità viene dal donarsi”. E la sofferenza, il dolore, insomma, la qualità della vita? Ecco come rispondono i suoi genitori: “E’ come avere nella nostra famiglia Cristo sempre presente, presente in una bimba che si fa carico di sofferenze che non si è cercata. Questo grande mistero della sofferenza degli innocenti spesso scandalizza – come è successo a noi per primi – ma visto alla luce della morte e della resurrezione di Cristo acquista senso e ci fa sentire tanto piccoli quanto fortunati a poterne essere partecipi prendendoci cura di questa bambina. E allora ci domandiamo: cosa abbiamo fatto per meritarci già su questa terra un pezzo di Paradiso?”.

Ecco queste sono solo due storie, due storie semplice e vere, ma come queste ce ne sono molte, moltissime altre: il popolo di Dio c’è, è grande ed opera. Solo che non ve lo raccontano. Perché? Semplice. Il popolo di Dio non ama il potere del mondo, ma si piega solo a quello del suo Signore. Non è schiavo del denaro, che considera uno strumento per costruire il Suo regno. Non è ricattato dalla sofferenza, perché la offre nella Croce. Il popolo di Dio è libero, dice la verità ed è solo di Dio. E quando sente parlare di “qualità della vita”, sorride e se ne va. Perché sa che i Cieli sono aperti, che ogni capello sul capo è contato e che anche la cosa più piccola (fosse anche un solo respiro), non accade mai per caso, ma perché l’uomo possa conquistare la vita eterna.

Costanza Signorelli
In La NBQ

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