“… questo comando non è troppo alto per te, né troppo lontano da te …” – XV Domenica anno C (2016)

 

Se è vero che seguire il Signore Gesù è impegnativo questa frase del libro del Deuteronomio ci indica che quello che il Signore vuole da noi non è qualcosa di così distante, fuori dalla nostra vita da non poter essere attuato. Un comando che certo ci viene dal cielo, ma offerto in una modalità che non chiede la nostra spersonalizzazione, ci viene dato a misura d’uomo. È, cioè, praticabile. Si traduce e si coniuga in un linguaggio umano, è alla portata di tutti coloro che, con buona volontà lo accettano. Non richiede di essere geni, né complesse elucubrazioni mentali.

Ma qual è questo comandamento?  

“Che cosa devo fare per avere la vita eterna” Nella risposta a questa domanda, del dottore della legge, che vuole mettere alla prova Gesù, ci viene detto!
Domanda mal posta, anche se fondamentale: chi di noi non vorrebbe vivere eternamente? Il dottore della legge conosce già la risposta, come noi conosciamo la risposta a qual’ è il comandamento, “che non è troppo alto e lontano da noi”.
“ Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta l’ anima, con tutta la forza e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso.

Un amore senza se e senza ma verso Dio, amore totale che coinvolge la nostra affettività e volontà: il cuore; la nostra sensibilità e dimensione spirituale: l’ anima; la nostra vitalità: la forza; l’ intelligenza e il pensiero: la mente.

Questo amore rivolto a Dio non può rimanere in cielo, disincarnato dalla nostra realtà umana/terrena perché noi siamo fatti così: desideriamo l’ infinito, ma siamo impregnati di limiti, di finitezza; aspiriamo all’ eternità, eppure siamo racchiusi dentro uno spazio temporale di un inizio, un prima e un dopo a cui ambiamo, ma che in qualche modo ci sfugge.

Un amore che non deve rimanere troppo lontano da sembrare irraggiungibile, non sperimentabile, ma che deve diventare amore verso l’altro: amore verso il prossimo.

Il dottore della legge lo sa bene e tenta l’ ultima scappatoia:

Chi è il mio prossimo?
Domanda attuale anche oggi.

Se il Signore Gesù, rispondendo al dottore della Legge avesse elencato una serie di persone dicendo: questo è il tuo prossimo, questo non lo è, questo lo puoi amare, curare, questo no, lo puoi lasciare perdere, rimanere indifferente, non averci proprio a che fare, sarebbe stato molto semplice!

Gesù, invece, racconta questa parabola, che ormai dovremmo conoscere a memoria.
Al cuore della parabola vi è un uomo! Non ha un nome, probabilmente sarà un giudeo, ma è, prima di tutto, un uomo. Un uomo che ha bisogno di aiuto. In quell’ uomo vi è ciascuno di noi che, allontanandosi da Dio, (Gerusalemme), si ritrova piagato, perduto ai bordi della strada della propria vita, privato di quei doni che Dio gli ha concesso.

In quell’ uomo vi sono tutti gli uomini che sono derubati della loro dignità e sono ai margini del mondo, della società, di un modo di vivere fondato sempre più sull’ individualismo, sull’ egoismo, sulla ricerca del profitto esasperato che non rispetta più l’ uomo.

In quell’ uomo vi è ciascuno di noi quando non sentiamo vicino nessuno e nessuno si fa nostro prossimo. Sacerdoti e leviti numerosi, osservanti della legge del proprio interesse personale anche oggi passano accanto voltandosi dall’ altra parte, chiudendo gli occhi.

E l’ uomo è sempre lì in attesa di qualcuno che abbia compassione di lui, si chini su di lui e se ne faccia carico. Finalmente arriva un Samaritano. È Gesù! In Lui è Dio stesso che si fa vicino, A noi, si fa carico di noi per riportarci a quell’ “albergo” che tutti accoglie e che è il cuore misericordioso del Padre.
Così, anche noi, guariti, accolti potremmo farci Samaritani, vicino a tutti quelli che feriti e derubati nel corpo e nello spirito, sulle strade del mondo, attendono qualcuno che si faccia loro vicino, fasci le loro feriti e possano essere portati a “quel tutti accoglie” e ritrovare la loro dignità di figli amati da un Dio che è Padre, nell’ amore che Cristo ci ha mostrato.
Ecco il significato di quel:” va e fa anche tu lo stesso”, rivolto a ciascuno di noi, che è la parte anche più difficile. I motivi sono tanti: egoismo, frutto del peccato, incoerenza, mancanza di fede autentica, per questo occorre un cammino di conversione.
Cammino possibile solo avendo davanti a noi Gesù, il suo amore concreto e fattivo, che ritroviamo in ogni pagina del Vangelo, non dimenticando quell’ identificazione che il Signore fa di sé con chi è nel bisogno estremo e, perciò, con tutti.

“ Ogni volta che avrete fatto queste cose a uno solo di questi fratelli minimi l’ avrete fatto a me” (Mt 25,40)

Deo gratias qydiacdon

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