XXVIII Domenica ordinario C – Guariti o salvati? Gratitudine

Dal Vangelo secondo Luca

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Parola del Signore
______________________________________

Noi crediamo in un Dio buono, tenero, di misericordia, ma quando ci incontriamo con il grande mistero del dolore, della sofferenza, della malattia, della morte stessa tutto questo può accadere che rivenga messo in discussione, da chi ci ascolta, ma a volte anche da noi stessi. Proviamo a pensare quando ti possono diagnosticare una malattia grave come un cancro, e la fiammella delle fede, che già fra le complesse vicende di questo mondo vacilla, sembra spegnersi del tutto.
Oggi la Parola di Dio ci fa incontrare, forse anche scontrare con questo grande mistero. Naaman il siro della prima lettura e i dieci lebbrosi del Vangelo ci devono far prendere consapevolezza della nostra fragilità e spesso anche impotenza di fronte alla malattia e al decadimento fisico che per nostra natura umana accompagna la nostra esistenza.
Il vangelo ci presenta questi lebbrosi che gridano, come è il grido di tanti che si trovano ad affrontare la malattia. Mi vengono in mente i bimbi che sono ricoverati nei reparti di oncologia pediatrica e delle loro famiglie.
Certo essere guariti è importante, me è più grande essere guariti o essere salvati da ciò che spaventa di più ciascuno di noi, cioè la morte definitiva,
l’annientamento di quella vita per sempre che noi agogniamo, che desideriamo?

Il grido di questi lebbrosi è il grido dei disperati, degli esclusi. I lebbrosi erano emarginati dalla società di tutti i sofferenti del mondo. Gesù ascolta il loro grido, li guarisce e li manda da chi ha il compito di constatare la guarigione e di riammetterli nella società. Dei dieci, annota l’evangelista, uno è un samaritano. Gli altri hanno un tempio in cui recarsi, il samaritano no! Di nuovo è solo, ma è l’unico, come Naaman il siro che torna lodando e ringraziando. Lebbrosi nove guariti uno solo salvato.

I nove che vanno al tempio assomigliano a quei cristiani che ricorrono a Dio solo quando ve ne è bisogno, quando le cose non vanno bene e non sono pochi questi battezzati, purtroppo, ma si dimenticano di Dio nel quotidiano, quando devono fare le loro scelte, nella loro famiglia, nel proprio lavoro.
Il samaritano che torna lodando Dio ci indica di riconoscere che Dio opera nella storia, nella vita, nella nostra vita, nella mia vita nell’ ordinario della mia esistenza anche se a volte, e succede anche a me, non riesco a capire fino in fondo non è il Dio del bisogno solamente, ma della salvezza che opera ciò che l’uomo non può operare, di questo ne sono certo, anche se a volte sono costretto a misurarmi con il suo silenzio.

Noi siamo creature deboli e fragili, ammalate di delirio di onnipotenza, ma incontrandoci con la nostra fragilità, fra cui vi è anche la malattia possiamo o cadere nella disperazione, imprecare contro Dio, o far sì che si apre quella porta che ci permette di scoprire un mondo interiore che abbiamo lasciato per il “fare”, accumulare, l’avere.
Con questo non voglio dire che la salute non sia un bene prezioso, anzi dobbiamo fare tutto, ma è più importante della felicità?
Scrive un commentatore: “Conosco malati relativamente felici e pieni di Dio, e splendidi giovani in piena forma che si buttano via nella droga. La salvezza è un benessere più profondo, assoluto, lo scoprirsi al centro di un progetto d’amore”

Non semplice quando devi interloquire con qualcuno che vedo, ascolto in modo mediato e incontro attraverso segni che mi proiettano in una realtà diversa, che ha la dimensione della divinità e dell’eternità.

Il samaritano guarito non solo nel corpo, ma anche nello spirito, non pensa più di essere un maledetto di Dio mostra la gratitudine. Oggi sono pochissime le persone che lo fanno in un mondo in cui tutto e dovuto, è diritto ,(non esistono più doveri).
La gratitudine nella Treccani viene definità così: “Sentimento e disposizione d’animo che comporta affetto verso chi ci ha fatto del bene, ricordo del beneficio ricevuto e desiderio di poterlo ricambiare (è sinon. di riconoscenza, ma può indicare un sentimento più intimo e cordiale): avere, sentire, nutrire g. per (o verso) qualcuno; serbare, mostrare g. a qualcuno; g. sincera, profonda; atto, manifestazione, segno di gratitudine.”
Ormai tutto è scontato e il nostro cuore, assuefatto, non sa più aprirsi alla gratitudine. I nostri bimbi, fanciulli fanno fatica a dire grazie, e i grandi si dimenticano di insegnarlo.

Il Signore che ha guarito i lebbrosi guarisca non solo la lebbra del corpo, ma anche quella di un cuore che non sa più essere grato.

Deo gratias,qydiacdon

XXVIII domenica del tempo Ordinario anno C – Cattedrale di Trapani

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *