LE PAGINE “STRAPPATE” DELLA RESISTENZA – DON GIUSEPPE GALASSI

Ucciso dai partigiani – S. Lorenzo in Selva- 31 maggio 1945

Don Galassi, originario di Imola era capitato ad essere arciprete in una delle zone più turbolente dal punto di vista partigiano dell’ intera Romagna. A Conselice e dintorni, sulla linea del Senio, dove il fronte si fermò fino ai primi mesi del 1945. In parrocchia vi era una delle più attive  “ridotte” atee e comuniste della zona, la frazione di Cà di Lugo.Era una specie di “padre spirituale” di tutta la zona per via della sua “mistica intransigenza antifascista e anti comunista”.Non voleva, ad esempio, che si avesse altra tessera all’ infuori di quella dell’ azione cattolica, mettendo nei pasticci chi invece aveva bisogno del riconoscimento fascista per lavorare. Quando il regime portò via le campane nel 1943 – 44, lasciando solo il campanone, in chiesa disse che avrebbe suonato a morte con quella per il fascio e per il suo capo. Intransigente con se stesso e con gli altri, esercitava la carità in vari modi mettendo a disposizione  della gente la sua abilità infermieristica curando molte persone in canonica, dove teneva una fornita farmacia.

Il 7 e 8 aprile 1945 girava in bicicletta sotto i bombardamenti e tra le macerie per praticare l’ antitetanica ad eventuali feriti.

Il centro di S. Lorenza era stato raso al suolo, compresa la chiesa, perciò don Galassi celebrava la messa qua e là nei casolari di campagna. In quella zona erano già stati assassinati dei sacerdoti: don Ferruzzi il 3 aprile; don Galletti il 9 Maggio. A lui e ad altri confratelli era stato consigliato di allontanarsi per un periodo, ma come gli altri aveva rifiutato.

 Il giorno della morte don Galassi celebrò la messa in una casa all’ incrocio tra via Lunga e via Maiano, ai confini della parrocchia.. Sulla strada del ritorno venne fermato da due, chi dice quattro persone, che gli dissero di doverlo accompagnare al comando del CLN di Voltana, luogo tristemente famoso per gli efferati eccidi partigiani. Intuendo ciò che gli stava  per accadere chiese di essere accompagnato, ma nessuno dei presenti osò farlo. Dopo poco, verso le 11,30 venne ucciso con 5 colpi di pistola: due gli bucarono il cappello, due forarono la tempia, l’ ultimo gli asportò l’ occhio destro, il corpo venne buttato in un fosso.

Il cadavere venne ritrovato da Peppina Valenti, una ragazza che poi si farà suora.  Nella sua memoria scritta racconta:

“ M’ interessai subito presso qualche persona più esperta per capire in quale zona fosse stato ucciso. Nessuno mi volle ascoltare e tanto meno aiutare. Erano tutti spaventati … Mi decisi a partire sorretta da una carità ardente che mi diceva: “Vai, vai in cerca del tuo arciprete” … partii immediatamente. Entrai in mezzo ai campi con la mia bicicletta. Pedalavo il più forte possibile … arrivai ad un crocevia ove trovai due contadini piuttosto giovani che falciavano l’ erba … Mi avvicinai chiedendo loro se, per piacere, sapevano dirmi dove si trovava il sacerdote ucciso il giorno precedente. Mi guardarono e con voce calma e gentile mi dissero additando un cane fermo in mezzo alla strada: “ Prenda quella strada e vada molto avanti, stando sempre alla sua destra: in fondo al fosso troverà il morto che lei cerca”. Mi licenziai ringraziandoli.

Il cane era alto, grosso di corporatura e di pelo rossiccio. Appena mi instradai si infilò davanti alla mia bicicletta voltandosi indietro ogni tanto per rassicurarsi che lo seguivo. Dopo qualche minuto mi trovai di fronte al morto; era senza scarpe, perché rubate, con la faccia bocconi e il cappello lontano mezzo metro. Il cane  si era avvicinato e mi guardava, come se mi volesse dire qualcosa”.

In seguito, arrivarono con un carretto anche le due contadine dell’ arciprete assieme a due sacerdoti amici intimi del morto, uno dei due era don Francesco Gianstefani arciprete di Conselice. Scesero nel fosso e la salma fu recuperata, il viso era impressionante per la grande cavità dell’ occhio che mancava e per il sangue che la ricopriva. Fu portata all’ oratorio di S. Dorotea, dove rimase fino alla mattina seguente per il trasporto al cimitero. Il 2  giugno fu celebrato il funerale al quale parteciparono venti sacerdoti, una ventina di donne e solo 5 uomini che coraggiosamente avevano disobbedito alla staffetta “rossa”, passata di casa in casa, per dissuadere dal partecipare al rito.

Per  l’ omicidio di don Galassi nessun processo, nessuna condanna.

Nel decennale del martirio vi fu quella che fu definita “la rivincita del coraggio”: migliaia di persone da ogni parte e decine e decine di bandiere. Nel ventennale sul catafalco fu posto un mazzo di rose, come un invito d’ amore per gli omicidi impuniti.

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Liberamente tratto e ridotto da: Storia dei preti uccisi dai partigiani;  di R. Beretta; editrice PM

 

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