È giusto tenere le braccia allargate durante il «Padre nostro» alla Messa? Una domanda sui gesti che accompagnano la recita del Padre Nostro durante la Messa. Risponde don Roberto Gulino, docente di Liturgia alla Facoltà teologica dell’Italia centrale.

Vedo che nella mia chiesa è molto diffusa l’abitudine di aprire le mani durante il Padre Nostro. Non è un gesto riservato al sacerdote? O è la posizione giusta anche per i fedeli? Tra i bambini invece c’è l’abitudine di prendersi per mano: è una cosa corretta?

Enzo Parrini

Immagino che la domanda si riferisca unicamente al contesto di una celebrazione eucaristica dato che nella preghiera personale, al di fuori di un ambito liturgico-celebrativo, ognuno può assumere la posizione che preferisce – chiaramente sempre nei limiti del buon senso e del rispetto del luogo, è evidente!

Questa libertà di scelta non è prevista nella liturgia proprio per la sua natura di preghiera della Chiesa e per la Chiesa, che ci permette di far memoria del mistero pasquale di Cristo – salvezza vera per noi oggi – seguendo un rito preciso definito dal Magistero.

Volendo essere in tutte le sue dimensioni una preghiera ecclesiale e comunitaria la preghiera liturgica richiede che tutti i gesti e gli atteggiamenti del corpo, oltre alle parole, debbano essere condivisi e vissuti insieme per un motivo preciso: «L’atteggiamento comune del corpo, da osservarsi da tutti i partecipanti, è segno dell’unità dei membri della comunità cristiana riuniti per la sacra liturgia: manifesta infatti e favorisce l’intenzione e i sentimenti dell’animo di coloro che partecipano» (Ordinamento Generale del Messale Romano, n° 42). Quindi insieme si sta seduti, ci alziamo in piedi, ci si inginocchia, si canta, si risponde, si ascolta…

Per quanto riguarda la preghiera del Padre nostro all’interno della celebrazione eucaristica le Precisazioni della Conferenza Episcopale Italiana ai Principi e norme per l’uso del Messale Romano, al n° 1, indicano che «si possono tenere le braccia allargate». Il testo aggiunge che tale gesto, «opportunamente spiegato, si svolga con dignità in clima fraterno di preghiera».

Perché c’è bisogno di una spiegazione e di un clima fraterno di preghiera? Perché normalmente, come già veniva indicato dal nostro amico lettore, il gesto delle braccia allargate è proprio del sacerdote come segno della sua preghiera di intercessione rivolta al Padre, per Cristo, nello Spirito Santo, a nome di tutta la comunità, e dovrebbe farlo solo lui (ed i sacerdoti concelebranti).

I Vescovi italiani concedono la facoltà di allargare tutti le braccia – il testo dice che si «possono» e non che si «devono»! – purché si spieghi il gesto, non previsto ordinariamente, si conservi un clima di preghiera, evitando atteggiamenti plateali!, e lo si compia tutti insieme come un’unica assemblea che prega con un cuore solo ed un’anima sola.

Il testo delle Premesse non parla di «prendersi per mano». Occorre ricordare che siamo nel contesto dei riti di comunione, ci stiamo preparando a ricevere il Signore attraverso il dono dell’Eucaristia, e in questo momento – dopo la preghiera eucaristica, con Gesù presente sacramentalmente sull’altare – ci rivolgiamo al Padre con le parole stesse che ci ha insegnato il Signore.

A livello rituale si permettono le braccia allargate per tutti, magari tenendole verso l’alto, come segno di questa tensione verso Dio, dell’abbandono fiducioso nell’abbraccio del Padre (che consegna a noi suo Figlio), come richiamo gestuale ad una comunione «verticale», al legame filiale che ci vede uniti al Padre, per Cristo, nello Spirito.

Il gesto di prendersi le mani gli uni gli altri – soprattutto usato tra i bambini ed i ragazzi, come veniva ricordato nella domanda – richiama ritualmente un aspetto un po’ diverso, ossia il legame fraterno tra noi fedeli, una comunione più «orizzontale», ed in questo momento è meno opportuno delle mani allargate.

È importante comprendere bene che i gesti e gli atteggiamenti del nostro corpo nella preghiera liturgica «devono tendere a far sì che tutta la celebrazione risplenda per decoro e per nobile semplicità, che si colga il vero e pieno significato delle sue diverse parti e si favorisca la partecipazione di tutti» (Ordinamento Generale del Messale Romano n° 42).

Quindi, come sempre nell’ambito liturgico, più che l’osservanza cieca e assoluta delle norme, è importante cercare di capire – e soprattutto vivere! – il senso di queste indicazioni per celebrare il mistero pasquale di Cristo sempre più pienamente, attivamente, fruttuosamente, piamente e consapevolmente, come ci chiede il Concilio Vaticano II (cfr Sacrosanctum Concilium 14 e 48).

Roberto Gulino

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