Dopo le “nozze”, anche l’Eucarestia al capo scout

Continua il dibattitto all’interno del mondo scout italiano dopo il caso di Staranzano e le parole del vescovo di Gorizia. Dopo la lettera pubblicata ieri di un capo scout, è la volta ora di una mamma i cui figli frequentano la storica associazione ricreativa fondata da Robert Baden Powell. La domanda che gira attorno a tutto è la seguente: gli scout sono ancora un’associazione cattolica? Ecco come una mamma proprio di Staranzano sta vivendo questa fase critica dell’associazionismo cattolico.

Sono Arianna Dell’Amico, della Parrocchia di Staranzano.

Ho 46 anni, sono sposata dal 1998 e da due anni mio marito è capo nel locale gruppo/branco dei lupetti. Ho due figli, rispettivamente di 16 e 13 anni, anche loro inseriti nel locale gruppo scout. Qui in parrocchia ricopro il ruolo di catechista. Da qualche anno ho sentito la necessità di fortificare la mia fede anche attraverso una maggior conoscenza e ho iniziato quindi il percorso di Scienze Religiose. Ho appena concluso la stesura della mia tesi triennale.

Mi trovo a scrivere perché ho bisogno di risposte chiare dalle autorità competenti.

Ho recentemente scritto una lettera quasi del tutto uguale a questa all’assistente ecclesiastico di zona, a quello regionale, alla redazione di Servire e al contatto mail dal sito nazionale dell’Agesci, collegato a non so quale ufficio. Non ho mancato di far conoscere i miei interrogativi anche al mio Vescovo.

Il gruppo scout di Staranzano è balzato agli onori della cronaca per la recente scelta di uno dei capi di unirsi civilmente con il suo compagno, ma questo evento ha solo riacceso, amplificandola, una questione già sollevata anni fa dal parroco di Staranzano, il quale ha ricevuto solo resistenze da parte dell’assistente ecclesiastico e dalla quasi totalità del gruppo che quest’ultimo guida.

Discutibile la platealità con cui si è celebrata l’unione civile (parlano di 200 invitati), nonché la scelta del canto finale Dio è morto di Guccini, che proclama la necessità di una rinascita spirituale e morale. Adesso io mi interrogo sulla coerenza della testimonianza che il gruppo scout offre.

I miei due figli sono all’interno del gruppo e domenica 4 giugno, all’indomani dell’unione civile, c’è stata la chiusura dell’attività scout a cui io ho assistito con tanti altri genitori.

La celebrazione eucaristica, limitata certamente dalle circostanze perché ci trovavamo in un boschetto all’aperto, non ha avuto il Gloria, né il Credo né il Santo (ma le celebrazioni scout sono sempre così?). Poi, al momento della comunione, il capo scout e il suo compagno, ormai agli occhi di tutti uniti civilmente, hanno ricevuto dalle mani dell’assistente ecclesiastico il Corpo di Cristo.

Io forse non capisco, ma alla sacralità ci credo ancora… e so solo che ho provato un grande dolore. Inoltre cosa insegna il magistero? Perché non c’è uniformità nell’agire? Questo nuoce ai nostri giovani ma ancor più nuoce al bene della Chiesa.

Viviamo in una società dove le influenze della cultura relativista e individualista sono molto forti e sempre più estese. Contavo sul fatto che il mondo scout ne rimanesse fuori, ben radicato piuttosto nella cultura cattolica (almeno lo scautismo Agesci) che insegna il dono di sé, per perseguire un fine più alto, il bene comune – che è il bene dei ragazzi/giovani (e non il bene dell’Agesci che, almeno qui, lamenta scarsità di educatori). Ma temo che il criterio del sommo bene nel gruppo locale non rivesta importanza.

L’art. 9 della statuto afferma che non solo l’assistente ecclesiastico, ma anche «gli altri soci adulti, annunciano, celebrano e testimoniano la fede cristiana con le modalità educative e le caratteristiche proprie dello scautismo». In questo articolo devo comprendere che si ascolta anche il Magistero oppure «Del Vaticano si può fare un bel parcheggio!» ? (cito questo commento perché comparso su pagine Facebook di uno dei capi scout dei miei figli).

Quando un genitore cattolico sceglie un’associazione cattolica si fida che siano osservati i principi e i valori basilari del cristianesimo, e quindi affida i propri figli.

Fermo restando la dignità e la ricchezza di ogni persona, e il rispetto di ogni scelta libera, sostengo che in un’associazione cattolica la figura di capo/educatore, che è modello di riferimento per i ragazzi, non possa indicare un orientamento sessuale omosessuale, legittimandolo come una possibilità agli occhi dei giovani, che hanno una identità sessuale ancora in formazione. Resto addolorata dal fatto che nessuna voce delle istituzioni cattoliche abbia preso posizione sul ruolo che gli è permesso di rivestire. Il Comitato di Zona che fu interpellato più di tre mesi fa rimise la responsabilità della decisione al gruppo locale. Con quale criterio? Il buon senso? La coscienza – condizionata dall’amicizia – della Comunità Capi?

Oggi i nostri giovani sono disorientati, e non solo in materia religiosa… Ci meravigliamo se non ritengono importante il matrimonio come sacramento (alcuni sacerdoti insegnano anche questo), ma ora mi domando quale ricaduta potrà avere nei ragazzi avere come educatore un uomo che ai loro occhi offre come legittima una vita vissuta nell’omosessualità. In questo nostro tempo in cui anche l’identità sessuale viene ormai messa in dubbio da telefilm, cartoni animati, pubblicità, spettacoli nelle scuole (pensiamo allo spettacolo “Fa’afafine” all’inizio dell’anno) i nostri ragazzi hanno bisogno di certezze e di solidità. Hanno bisogno di testimonianze coerenti con il messaggio del Vangelo.

In America anche la pedofilia è passata prima da “malattia” a “disordine”, poi recentemente a “orientamento sessuale”. Inoltre sono a conoscenza di casi in cui sono state celebrate delle nozze con il proprio cane o anche con il proprio se stesso. Temo davvero che nel giro di una generazione o due anche la sessualità scivolerà nell’indifferenziazione. (…)

Il cristianesimo è diventato vittima del villaggio globale, dove la pluralità di opinioni finisce per far perdere di vista la Verità… Mi è stato insegnato a credere nella Verità del Vangelo e di “non conformarmi a questo mondo” . So che ai nostri giovani dobbiamo indicare la Verità di Gesù Cristo, perché altrimenti rischiamo di non essere più credibili. Dobbiamo indicare loro il fine della Chiesa attraverso il mondo e non il fine del mondo attraverso la Chiesa.

Sono preoccupata per i miei figli e per tutti i giovani che assistono a liturgie sommarie, ascoltano omelie in cui il contenuto della fede è ridotto ad una buona morale – ad un uomo che si salva per le sue opere – e vedono il Corpo di Cristo offerto anche a chi vive palesemente nel peccato. Ritengo necessario che si debba vigilare anche sulla preparazione di laici e sacerdoti che nei confronti dei ragazzi hanno incarichi educativi finalizzati alla maturazione spirituale.

(…) Sento il bisogno di diffondere questo appello perché la coscienza cristiana di ciascuno di noi sia interpellata e si faccia chiarezza non solo su questa dolorosa questione, ma sulla nostra identità di cristiani cattolici, su chi siamo e su dove vogliamo dirigere i nostri passi.

Arianna Dell’Amico
Da La NBQ

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