«A Cuba il regime comunista semina terrore, aiutateci»

Prosegue l’oppressione del popolo cubano da parte del regime di Díaz-Canel, ma nell’isola c’è una Chiesa che si oppone all’ideologia comunista. Dopo le proteste dell’11 luglio, «ci sono molte persone che affrontano accuse per crimini che non dovrebbero essere crimini». Parla alla Bussola padre Montes de Oca, che oggi ha il divieto di lasciare Cuba.

Mentre a Cuba continua la violazione dei diritti umani da parte del regime di Miguel Díaz-Canel, nell’isola c’è una Chiesa attiva al fianco del suo popolo e che alza la voce senza timore contro l’ideologia comunista.

È una Chiesa profetica, che si manifesta nelle azioni dei suoi vescovi che chiedono con forza cambiamenti, come monsignor Dionisio Guillermo García Ibáñez: quattro mesi fa, in un’omelia davanti all’immagine della Vergine della Carità del Cobre, patrona di Cuba, l’arcivescovo di Santiago ha chiesto “i cambiamenti necessari, che molti di noi sperano, i cambiamenti che danno speranza, i cambiamenti che noi vescovi abbiamo nominato in tutte le nostre ultime lettere e nei comunicati”.

Una Chiesa profetica che si manifesta soprattutto nel lavoro quotidiano dei suoi sacerdoti, come quello di padre Rolando Montes de Oca, parroco a Vertientes, nell’arcidiocesi di Camagüey, apertamente critico nei confronti del regime e impegnato nella sua missione di “predicare la verità”, come lui stesso spiega, nonostante questo gli sia costato attacchi alla sua canonica, persecuzioni e persino il divieto di lasciare Cuba perché è considerato una figura di “interesse pubblico”. La divina Provvidenza mi ha portato a conoscere padre Montes de Oca il 28 febbraio 2018 a Roma, quando lui era studente di Comunicazione presso la Pontificia Università della Santa Croce, dove ero stata invitata a fare una relazione sul lavoro del giornalista. La Nuova Bussola lo ha intervistato.

Padre Montes, che atmosfera si respira a Cuba?
C’è molta paura e anche molto terrore, che sono stati instillati nei giorni successivi alle proteste e si respirano ancora. Ci sono molte persone che affrontano accuse per crimini che non dovrebbero essere crimini, come manifestare pacificamente e dire quello che si pensa. È una situazione molto complessa e altamente instabile. Sento che (le autorità) non hanno risposto a ciò di cui la gente aveva bisogno e che questa situazione potrebbe portare a più disordini. Credo che il Paese non sia guarito, che invece si sia seminato il germe di problemi futuri. Dio ci salvi, sento che andrà molto peggio.

Si è detto di tutto sull’origine delle proteste dell’11 luglio, ma cosa ci può dire lei?
L’origine è complessa, ma alla base c’è la mancanza di libertà di espressione. Ci sono molte persone che sono state incarcerate con condanne del tutto assurde, per aver mostrato un cartello che diceva “libertà” o per aver mostrato il loro disaccordo con il governo cubano o per fare giornalismo, arte o qualsiasi manifestazione indipendente. Quello a Cuba è un crimine ed è un crimine che si può pagare a caro prezzo. Quindi la tensione c’era già per la scarsità di cibo e medicine in mezzo alla pandemia incontrollata, per gli ospedali pieni di gente, e il governo diceva che tutto era sotto controllo, mentre la realtà diceva il contrario. Il coprifuoco per controllare gli spostamenti e presumibilmente prevenire i contagi da Covid-19 era molto rigido e personalmente ho visto la polizia con un atteggiamento molto aggressivo nei confronti delle persone che volevano uscire perché ne avevano un certo bisogno. Tutta quella realtà, oltre ai crescenti blackout, ha messo molta tensione che, aggravata dalla mancanza di libertà di espressione, è stato un cocktail che ha portato a questa esplosione sociale che, per quanto ne so, non è stata organizzata da nessuno. Il popolo è uscito spontaneamente ed è stato interessante che la prima cosa che hanno gridato è stata “libertà” e tra l’altro hanno detto “non abbiamo paura”. Personalmente mi sono commosso perché qui si vive sotto il segno della paura che ha controllato i cubani a lungo con minacce.

Come vive questa situazione la comunità cattolica cubana?
La Chiesa cattolica cubana cerca di essere madre, accompagnando il popolo attraverso i suoi sacerdoti, i religiosi, i fedeli laici. L’attività pastorale tradizionale è stata limitata dall’epidemia di Covid-19 che è sfuggita di mano, ma allo stesso tempo, di fronte alla repressione subita, c’è stato un messaggio dei vescovi che invitava alla concordia e all’ascolto, ci sono state azioni concrete di alcuni di loro, intercedendo per fedeli e seminaristi che sono stati in carcere. C’è una risposta preziosa da parte dei religiosi e delle religiose, che hanno fornito un servizio di accompagnamento alle famiglie con membri carcerati, e perfino consulenza legale perché possano difendersi adeguatamente, perché non si sentano soli.

Usando le parole del comunicato dei vescovi cubani del 13 luglio, perché non possiamo “chiudere gli occhi o girare lo sguardo, come se nulla stesse accadendo” a Cuba?
Non possiamo chiudere gli occhi perché chiudere gli occhi è una tentazione, è più facile, è più comodo, è più disimpegnato, ma se la Chiesa vuole essere madre deve impegnarsi di più per il dolore e la sofferenza della sua gente. Se la Chiesa appartiene a Cristo, Cristo non chiude gli occhi, non guarda altrove, non disegna una realtà parallela quando il suo popolo soffre. L’oppressione di un popolo è uno dei peccati che gridano al cielo, come afferma il Catechismo della Chiesa cattolica. E davanti al clamore di questo popolo, la Chiesa non può chiudere gli occhi.

Cosa possiamo fare per aiutare la Chiesa e il popolo cubano?
In primo luogo, non chiudere gli occhi, rendere visibile ciò che sta accadendo, ciò che si vive, ciò che racconta il popolo cubano. Ascoltare la gente, scartare le versioni ufficiali che manipolano la verità e ascoltare la realtà di ciò che accade a Cuba ogni giorno, in quella Cuba che a tanti non è nota. Quella Cuba che tante volte si ricopre del manto del paradiso tropicale promosso dalle pubblicità turistiche ma che non c’entra niente con la realtà del popolo cubano; quelli sono paradisi di cui il popolo cubano non può godere e a cui non può nemmeno aspirare perché è soffocato dalla ricerca della sopravvivenza quotidiana e dalla paura di dire ciò che pensa e di essere punito per questo.

Un messaggio per i nostri lettori…
La mia vocazione di credente e di sacerdote è accompagnare, rendere visibile, dire la verità e pregare, perché il destino di Cuba è nelle mani di Dio. Dobbiamo pregare che il Signore ci metta la mano, perché converta i violenti e che Cuba diventi un giorno la Cuba di tutti i suoi figli uniti nella carità, una Cuba di riconciliazione e con un nuovo futuro. Dove non ci siano più prigionieri politici, dove parlare non sia mai più un crimine per cui finire in prigione o essere picchiati. Una nuova Cuba, libera e di Cristo.

Marinellys Tremamunno in LA NBQ

 

 

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