Mitezza e umiltà. – XXII Domenica C 2016

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti». ( Luca 14,1. 7-14)

 

Umiltà e mitezza sono stati i due termini che hanno accompagnato la mia meditazione sulla Parola che ci viene rivolta in questa XXII Domenica.

Attraverso il Vangelo di questa Domenica, siamo tutti invitati a riflettere su un male grande che affligge il nostro tempo: il protagonismo, che si manifesta “nell’avere, nel potere e nell’ apparire di più. Quello che vale è quel di più che distingue dagli altri e ci separa dalla gente comune . Esso è alimentato dalla ricerca di ricchezza, dalla vanagloria, dalla superbia, dall’ orgoglio. Ma in un modo di vivere così organizzato, la struttura del mondo, direbbe Giovanni, ( cfr. 1Gv2,16), alimentato dall’ azione del maligno, Gesù inserisce la sua fondata sulla povertà, la semplicità, l’ umiltà,, l’ apparire di meno che permette ai suoi discepoli di vivere nel mondo senza essere del mondo, per trasformarlo dal di dentro.

Questo protagonismo nasce dall’essere ubriachi del nostro IO e porta, inevitabilmente, a quei deliri di onnipotenza che, offuscando la mente umana, portano all’ uomo a credersi Dio e a sostituirsi a Lui. È il peccato di Adamo, che vuole occupare il posto di Dio, senza rendersi conto che Dio è diverso.
È anche il nostro peccato quando decidiamo/agiamo senza tenere conto di Dio nel valutare ciò che è bene e ciò che è male.    

La scena descritta da Gesù nella parabola è quello che accade nella vita! A chi non piace essere al primo posto e cosa non si fa per esserlo? Mi vengono in mente certi avvenimenti pubblici dove la gente si sforza e sgomita per essere appena appena un po’ più avanti dell’ altro, anche di pochi centimetri, per essere vicino al questo o a quel personaggio … se poi riesci a fare un selfie con lui è il massimo.

Gesù va ancora decisamente una volta contro corrente! “Va’ a metterti all’ultimo posto”. Egli ci indica la grande virtù dell’ umiltà. Virtù difficile1 Perché se tutti siamo disposti a dichiararci umili, nella prassi non è poi mica così vero. Provate a scontravi con qualcuno, a ferirne un po’ l’ orgoglio e vedrete che sorprese si possono avere.

Attenzione, però, vi è anche una falsa umiltà, che è quella che ricerca se stessa, che cerca il plauso per la propria gratificazione, che ci fa sentire bravi e importanti di fronte agli altri. Umiltà come antidoto alla vanagloria umana che purifica il nostro agire, il nostro pensare, il nostro vivere le relazioni.

Ma cos’è questa umiltà?

Per capire che cosa sia l’ umiltà dobbiamo rivolgerci a Gesù che ci dice: “imparate da me che sono mite ed umile di cuore” . E cosa ha fatto Gesù? Gesù è venuto in mezzo a noi, è sceso pur essendo Dio fra gli uomini come dice bene S. Paolo scrivendo ai Filippesi:
5Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:
6egli, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
7ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
8umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
9Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
10perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
11e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!,
a gloria di Dio Padre. ( Capitolo 2)

Il punto più alto di questa umiltà è quello del suo dare la vita, che costituisce il massimo della sua umiliazione, ma che ci mostra bene con la Risurrezione la realizzazione di quelle parole: “chi si umilia sarà esaltato”

Venendo in mezzo agli uomini ha poi realizzato lui per primo l’ altra parte del Vangelo di oggi chiamandoci a Lui, a stare con Lui, a seguirlo per potere, entrando per “la porta stretta”, ad essere beati assieme a Lui in pienezza di vita per l’ eternità.

Del resto chi di noi non è povero di fronte a Dio, non siamo anche noi incapaci di camminare, anche se magari corriamo velocemente e vinciamo tre ori olimpici se non ci lasciamo guidare da Lui. Siamo ciechi e non sappiamo dove andare se lui non ci illumina con la sua Parola, con il suo amore, con la sua vicinanza. Per questo in ogni Eucaristia il Signore si offre a noi come nutrimento indispensabile.
Se Gesù ha fatto così con noi, lo stesso dobbiamo fare noi. Il nostro rapporto con i fratelli non può che rispecchiare il suo che non ha altra alternativa che quella di comportarsi come Lui si è comportato con noi.

Assieme all’ umiltà vi è un altro termine importante che Gesù stesso riprende, e che abbiamo incontrato nella prima lettura: “Figlio, compi le tue opere con mitezza,
e sarai amato più di un uomo generoso. (…)Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi, ma ai miti Dio rivela i suoi segreti…”

Che vuol dire “mite”?

Dal latino “mitis” indica una persona che ha carattere dolce e umano, disposto alla pazienza e all’indulgenza.
Dal greco “pràotes”, il termine mansuetudine indica, colui che permette alla Parola di Dio e allo Spirito Santo di tenere sotto il loro controllo la propria forza e si lascia guidare nell’usarla.
Il termine ebraico che indica la mitezza significa anche povertà. Perciò la mitezza include un atteggiamento di povertà spirituale, di pazienza, dolcezza e fiducia in Dio, che esclude la collera, la stizza e l’irritazione. La mitezza è invece una tranquillità d’animo, che è frutto della carità e che si manifesta esteriormente in un atteggiamento di totale benevolenza verso gli uomini e di coraggiosa sopportazione di persone o di eventi spiacevoli.

Gesù ci invita ad imparare da lui la mitezza. In Lui si rivela il “carattere forte e mansueto” di Dio e la potenza dello Spirito Suo, che fa risorgere, plasma, educa, forgia, il nostro carattere di uomini per renderci simili a Lui. Dio è onnipotente eppure si manifesta in modo mite, benevolo.

Si può qunidi affermare che: “la mitezza e’ forza e non debolezza. Questa e’ una certezza e questa certezza ce la dà Gesù che e’ mite e umile di cuore (Mt 11, 29), mite e umile nel parlare, mite e umile nell’agire. E’ Gesù non e’ un debole. Gesù e’ forza piena d’amore, forza piena di misericordia, forza piena di dolcezza:”Tu, padrone della forza, giudichi con mitezza; ci governi con molta indulgenza, perché il potere lo eserciti quando vuoi”. (Sap 12,18)
Il segno della fortezza non è la violenza. Chi è violento è un debole. Il mite condanna i peccati degli altri, ma non condanna il peccatore, anzi lo ama e cerca di aiutarlo. Il mite è anche pieno di umiltà: sa bene che non c’è peccato che gli altri commettono che non possa essere da lui commesso e ringrazia Dio per non averlo ancora commesso.
Signore donaci la tua luce affinché tutto ciò sia da noi accettato e messo in pratica.”( Padre Giuseppe Badami S.J.)

Deo gratias,qydiacdon

 

 

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