La gioia in un lampo di vita e “la forza per Martamaria”

Un sorriso, silenzio…
Una lacrima che taglia il viso, silenzio…
Di nuovo, un sorriso.

Così racconto la nostra storia:
E’ il 24 luglio 2013. «C’è qualcosa che non va» : queste sono le parole che ancora oggi rimbombano nella mia mente. Sono alla 12° settimana di gravidanza, mi cade il mondo addosso: diagnosi di incompatibilità con la vita. La nostra bambina era affetta da acrania e se mai fosse nata (perché c’era una forte probabilità che la gravidanza si interrompesse prima) non sarebbe vissuta a lungo.
«Imma – mi disse il nostro ginecologo, anzi il nostro amico, come lui stesso oggi si definisce – in questi casi, si pratica l’aborto terapeutico». Lo diceva senza guardarmi negli occhi perché anche per lui era doloroso pronunciare quelle parole. Sapeva quanto avevamo sofferto io e mio marito Giacinto, prima di arrivare a questa settima gravidanza, perché prima di Martamaria e del nostro primogenito Giuseppe, avevo già avuto cinque aborti, con raschiamenti. Poi la sofferenza della mia malattia, artrite reumatoide e spondilite, che mi aveva costretta a letto per lunghi periodi alternati dalle altrettanto care amiche “stampelle”, quando erano “tempi buoni”. «Pensateci e poi mi fate sapere», mi disse. Ma noi non avevamo bisogno di pensare. «No, noi non faremo alcun aborto, andremo avanti». Dentro di me c’è una vita, un cuore che batte!     
I primi tempi sono stati molto difficili, sono i momenti in cui ti rendi conto che i tanti progetti legati alla tua bambina sono un po’ cambiati: il pensiero che tua figlia non sia destinata a questa vita, ma a un’altra, è devastante! Ben presto, però, ho trovato dentro di me una forza nuova: “la forza per Martamaria” (nome che io e Giacinto avevamo scelto già dalla precedente gravidanza e che avevamo deciso di non cambiare). Decisi così di vivere con serenità i sette mesi che mancavano al parto, perché la mia bambina doveva sentire solo quanto fossimo felici di averla con noi e non avvertisse il dolore che portavo dentro di me e poi perché Giuseppe, il mio piccolo di soli 15 mesi, meritava tutte le nostre attenzioni.
Il mio ginecologo ci sostenne. Condivideva appieno la nostra decisione. Continue visite per controllare che io non avessi complicanze, la ricerca dell’ospedale che avrebbe dovuto accogliere la nostra bambina e qui la scelta dell’Ospedale Villa Betania di Napoli, in cui ho trovato delle persone di un’efficienza ed un’umanità che nessuna parola può descrivere. Poi, la telefonata alla mia amica Titti Mallitti (madrina al battesimo di Martamaria, insieme ad Anna, una delle mie sorelle) che quasi un anno prima aveva rifiutato l’aborto terapeutico per sua figlia Benedetta, vissuta due giorni e poi nata in cielo, che adesso – con la sua testimonianza – stava cercando di portare il programma della Comfort Care proprio nell’ospedale dove aveva partorito, a Villa Betania… dove sarei andata anche io! Ed ecco che inizia questo nuovo e lungo percorso insieme a lei, ad Assia (la coordinatrice ostetrica), alle infermiere, alla dottoressa che seguirà la mia gravidanza, alla mia famiglia; insomma tutti uniti per garantire a Martamaria una meravigliosa accoglienza!
I mesi successivi non sono stati sempre molto facili da affrontare perché “programmare” per Martamaria una nascita un po’ diversa era un’esperienza dolorosa. Sapere che (quasi) sicuramente non sarebbe tornata a casa con noi, organizzare quindi anche in ospedale il battesimo, sperando innanzitutto che nascesse viva e ne avessimo il tempo era destabilizzante (non avevamo neanche questa certezza). Ma, in ogni momento triste, Martamaria scalciava ancora più forte, si faceva sentire, sembrava dirmi: «Coraggio Mamma, io sono qui e sono felice che tu ti stia prendendo cura di me».
Ci siamo sentiti dire molte volte: «Quanto coraggio avete!» oppure «Io non so, forse al vostro posto avrei scelto una strada diversa». Scelto? Ma cosa dovevamo scegliere io e Giacinto? Di uccidere nostra figlia? Perché di questo si trattava, praticando l’aborto terapeutico. Terapeutico per chi, poi? Noi non abbiamo mai scelto; abbiamo semplicemente accolto questo progetto d’amore, accudendo la bambina che avevamo amato da subito, da quel “positivo” test di gravidanza. E non perché siamo cristiani e crediamo in un Dio che ci ama, ma perché noi siamo e restiamo innanzitutto i genitori di Martamaria. Il nostro compito, il nostro dovere è di proteggere i nostri figli! Con Martamaria abbiamo dato un senso alla promessa fatta durante il nostro matrimonio: siamo disposti ad accogliere ogni figlio che il Signore ci donerà e non a scegliere quello che per il mondo fa meno male.
La fede ci ha sostenuto, ci sostiene tutt’ora. Ci rende sereni perché certi che la nostra bambina è accanto a Gesù e Maria!
E’ venerdì 17 gennaio 2014, è il giorno tanto atteso, il giorno della nascita di Martamaria. Tutto e tutti sono pronti ad accogliere questa nuova vita!
Sono entrata in sala operatoria, piena di medici e infermieri. Piena di calore umano, accompagnata dalle tante preghiere fatte dalla comunità, dal mio parroco, dall’affetto dei miei cari, dall’amore di mio marito. Avevo tante preghiere nel cuore, ma soprattutto chiedevo al Signore che potesse donare a Martamaria la guarigione fisica o, se questo non era il suo progetto, che aiutasse me e Giacinto, che ci desse la forza di portare questa croce.
La mia bambina è nata alle 12.30, un batuffolo rosa di 2,5 kg e 49 cm. Il primo miracolo è stato il suo pianto. La dottoressa che mi operava, Annalisa Agangi, mi disse: «Imma, la senti? Piange!». Mia figlia festeggiava la vita, la sua nascita. E poi l’ho vista: meravigliosa, bellissima (tra lo stupore di tutti perché ci si aspettava qualcosa di molto diverso). Certo, Martamaria era nata con l’acrania, la diagnosi era confermata, ma era nata! Poi è stata portata a fare il bagnetto, le hanno fatto le foto, il calco della manina e del piedino, l’hanno vestita e portata dal papà che l’aspettava. Dopo aver vissuto un momento molto intimo, noi tre soli, siamo andati nella stanza che l’ospedale ci aveva riservato e dove ci aspettavano per celebrare il battesimo. È stato uno dei momenti più belli che porto nel cuore, come gli auguri ricevuti alla sua nascita in sala parto.
La nostra bambina è vissuta cinque giorni nei quali ci ha fatto vivere emozioni indescrivibili, ci ha fatto assaporare ogni singolo istante della sua breve vita, così intensa.
E’ stata circondata di amore e ci ha donato amore. Si è attaccata al seno, respirava da sola, le sue funzioni vitali erano buone. E’ stata coccolata, accudita dalla sua famiglia e da tutto lo staff medico dell’ospedale che l’ha amata come noi. Abbiamo fatto anche la Kangaroo Care e quando le infermiere la prendevano, per cambiarla o farla mangiare, si lamentava perché voleva stare sempre con me. La sua mamma.
Quanti ricordi porto nel cuore di quei meravigliosi giorni; come sapere che un medico, entrato nella mia stanza, ne è uscito stupefatto perché ha respirato gioia: «Assia, ma lì dentro stanno ridendo. La bambina sta morendo ed anche la mamma ride, c’è una tale gioia!»
Sì, c’era gioia nella mia stanza, perché c’era la nostra Martamaria e volevamo solo farle sentire quanto l’amavano e fossimo felici di averla potuta conoscere, baciare e abbracciare.
Durante la sua ultima notte, dissi a un’infermiera della T.I.N (Franca), che oggi è tra le mie amiche più care: «Sembra che la mia bimba non voglia andar via». Mi rispose: «Imma, Martamaria ha una gran voglia di vivere, è forte e se anche sa che luogo meraviglioso l’attende, ti ha voluto regalare questi cinque meravigliosi giorni. E’ felice perché ha sentito tutto il vostro amore, adesso aspetta te». Sì, la mia Martamaria aspettava che fossi pronta a salutarla, ma non era facile lasciar andare un tesoro tanto prezioso.
Il 21 gennaio alle 8.10, tra le mie braccia, col suo papà accanto e la nostra Franca, Martamaria è nata in cielo. La gioia di quei meravigliosi cinque giorni resterà scolpita per sempre nei nostri cuori. Il suo funerale è stato una festa, abbiamo battuto le mani e cantato al Signore, certi che la nostra bambina fosse lì accanto a noi a cantare nel coro degli angeli!
Ecco il senso di questa nostra storia: mettere al mondo un figlio, pur sapendo che avrà solo un lampo di vita, significa battezzarlo, dargli un funerale, farlo sentire amato, accolto, desiderato e dargli una dignità di essere umano che abortendo non avrebbe mai. Certo io e Giacinto portiamo nel cuore la tristezza umana (che ci accompagnerà sempre) di aver perso una figlia, ma abbiamo anche la gioia di aver conosciuto un angelo che ha arricchito la nostra vita, e quella di chi l’ha conosciuta, di un senso nuovo!
Ringrazio Dio per avermi sostenuta in questo percorso, per non avermi mai fatto vacillare, e per aver posto al mio fianco le persone che hanno reso la breve vita di nostra figlia così meravigliosa. Lo ringrazio per avermi fatto vivere la Gioia Piena che, come dice sempre la mia amica Titti, consiste, sì, nel passare dalla morte, ma in quella morte non restare, sperimentando la consolazione di Dio.
Quando penso a mia figlia, rileggo un passo e in quelle parole Dio mi parla: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Galati 2, 20). E’ allora che grido forte «Sì alla Vita. Sempre».
Questa è la mia testimonianza. La dedico ai miei figli, Giuseppe e Martamaria, perché sono fiera ed orgogliosa di essere la loro mamma e di aver combattuto la “buona battaglia”. La dedico a mio marito, Giacinto, che col suo amore e la sua fede incrollabile mi ha sempre sostenuta.

Ciao Martamaria, dolce Angelo di Dio.
La tua mamma.

Imma Cardarano & Giacinto Ricciardi

Una vita che ha molto da insegnare, a chi vuol contemplare il mistero. E anche a chi si sente “padrone” della vita sua (che comunque è effimera…) e degli altri.

Da Bollettino Pro Vita Onlus

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