SULLA CORRETTA TRADUZIONE Padre nostro, l’importanza della tentazione

Durante la veglia di sabato del Papa con i giovani, Francesco è tornato a parlare dell’annosa questione della traduzione corretta del Padre Nostro nel passaggio “Non ci indurre in tentazione”. Ma cosa dice la Scrittura? Dio non può abbandonarci alla tentazione, ma ci può indurre ovvero tentare in Colui nel quale, per il battesimo, siamo stati trasfigurati e quindi possiamo vincere.

Durante la veglia di sabato del Papa con i giovani, Francesco è tornato a parlare dell’annosa questione della traduzione corretta del Padre Nostro nel passaggio “Non ci indurre in tentazione”. Il Papa ha detto: “Nella preghiera del Padre Nostro c’è una richiesta: ‘Non ci indurre in tentazione’. Questa traduzione italiana recentemente è stata cambiata, perché poteva suonare equivoca. Può Dio Padre ‘indurci’ in tentazione? Può ingannare i suoi figli? – ha chiesto – Certo che no. Infatti una traduzione più appropriata è: ‘Non abbandonarci alla tentazione’. Trattienici dal fare il male, liberaci dai pensieri cattivi….A volte le parole, anche se parlano di Dio, tradiscono il suo messaggio d’amore. A volte siamo noi a tradire il Vangelo”.

Fin qui il Papa. Come stanno le cose? In merito al “non ci indurre in tentazione”, vanno menzionati innanzitutto tre brani:

“Ecco io rendo ostinato il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone…”(Es 14,17). Qui è il Signore che induce all’ostinazione; “Ecco,dunque, il Signore ha messo uno spirito di menzogna sulla bocca di tutti questi tuoi profeti, perché il Signore ha decretato la tua rovina…”(1 Re 22,23). Qui è il Signore che induce alla mistificazione; “E per questo Dio invia loro una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità” (2 Tess 2,11-12). Qui è il Signore che induce all’inganno.

Nella I domenica di Quaresima, la “domenica delle tentazioni di Gesù” la Liturgia Horarum secondo il Novus Ordo, propone la lettura di sant’Agostino a commento del salmo 60, di cui riportiamo il brano seguente: “…la nostra vita in questo pellegrinaggio non può essere esente da prove e il nostro progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può conoscere se stesso se non è tentato, né può essere coronato senza aver vinto, né può vincere senza combattere; ma il combattimento suppone un nemico, una prova.
Pertanto si trova in angoscia colui che grida dai confini della terra, ma tuttavia non viene abbandonato. Poiché il Signore volle prefigurare noi, che siamo il suo corpo mistico, nelle vicende del suo corpo reale, nel quale egli morì, risuscitò e salì al cielo. In tal modo anche le membra possono sperare di giungere là dove il Capo le ha precedute.
Dunque egli ci ha come trasfigurati in sé, quando volle essere tentato da Satana. Leggevamo ora nel vangelo che il Signore Gesù era tentato dal diavolo nel deserto. Precisamente Cristo fu tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato anche tu. Perché Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza, da te la morte, da sé la tua vita, da te l’umiliazione, da sé la tua gloria, dunque perse da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria.
Se siamo stati tentati in lui, sarà proprio in lui che vinceremo il diavolo. Tu fermi la tua attenzione al fatto che Cristo fu tentato; perché non consideri che egli ha anche vinto? Fosti tu ad essere tentato in lui, ma riconosci anche che in lui tu sei vincitore. Egli avrebbe potuto tenere lontano da sé il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere, quando sei tentato” (Commento al Salmo 60,3; CCL 39,766).

Pertanto, Dio non può abbandonarci alla tentazione, ma ci può indurre ovvero tentare in Colui nel quale, per il battesimo, siamo stati trasfigurati e quindi possiamo vincere.

San Tommaso D’Aquino, nel suo Commento al Padre nostro, dopo aver premesso che Dio ‘tenta’ l’uomo per saggiarne le virtù, e che essere indotti in tentazione vuol dire consentire ad essa, scrive: “In questa (domanda) Cristo ci insegna a chiedere di poterli evitare (i peccati), ossia di non essere indotti nella tentazione per la quale scivoliamo nel peccato,e ci fa dire: ‘Non ci indurre in tentazione’.”[…].

L’Aquinate poi, chiarito che la carne, il diavolo e il mondo tentano l’uomo al male, annota che la tentazione si vince con l’aiuto di Dio, in quale modo? “Cristo ci insegna a chiedere non di non essere tentati, ma di non essere indotti nella tentazione”[…]. Infine, si chiede: “Ma forse Dio induce al male dal momento che ci fa dire: ‘non ci indurre in tentazione’? Rispondo che si dice che Dio induce al male nel senso che lo permette, in quanto, cioè, a causa dei suoi molti peccati precedenti, sottrae all’uomo la sua grazia, tolta la quale, egli scivola nel peccato. Per questo noi diciamo col salmista: ‘Non abbandonarmi quando declinano le mie forze’ (Sal 71[70],9). E Dio sostiene l’uomo, perché non cada in tentazione, mediante il fervore della carità che, per quanto sia poca, è sufficiente a preservarci da qualsiasi peccato”.

A questo si deve aggiungere anche il commento al Padre nostro di Ratzinger, dalla trilogia delle sue opere.

Quindi, secondo questi autori conserva tutto il suo senso la petizione “et ne nos inducas in temptationem”: il testo latino corrisponde esattamente all’originale greco del Nuovo Testamento. Il punto focale è prendere in considerazione tutta la Rivelazione biblica, nella quale Dio si manifesta in modo “cattolico”: etimologicamente, secondo la globalità dei fattori, che caratterizzano la vicenda umana e che non sfuggono in alcun modo a Lui, se è vero il detto: non muove foglia che Dio non voglia.

Del resto, non dice Giobbe: se da Dio abbiamo accettato il bene, perché non dovremmo accettare il male? Dio ha dato, Dio ha tolto: sia benedetto il nome del Signore. E Gesù: tutti i capelli del vostro capo sono contati. Per questo, Dio è cattolico, come disse von Balthasar.

Nicola Bux in La NBQ

 

 

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