Quei funerali “gay” da non celebrare

Alex Ferrari e Luca Bortolaso, coppia omosessuale, sono morti qualche giorno fa in una villetta in montagna, uccisi dal monossido di carbonio. Avevano entrambi 21 anni. I funerali in forma congiunta si sono svolti ieri presso la chiesa di San Giovanni Battista in località Arzignano (Vicenza). Il giorno prima del funerale il parroco Don Roberto Castegnaro ha commentato: «Vivremo la triste giornata di domani come il saluto a due ragazzi giovani morti in montagna. Non ho conosciuto Luca e Alex, sono qui da poco e ho cinque parrocchie da gestire. Ho accettato di tenere la funzione e solo dopo ho saputo che si trattasse di una coppia omosessuale, ma per me non cambia nulla. Ripeto, è il dramma di due esistenze spezzate troppo presto e dovrò impegnarmi per diffondere il messaggio di fede in un momento così tragico».

Ha fatto bene il parroco a celebrare il funerale di entrambi e pure congiuntamente? Pare proprio di no a dar retta al Codice di diritto canonico che ad oggi – a quanto ci risulta – dovrebbe ancora disciplinare le condotte anche dei sacerdoti. Infatti il Canone 1184 § 1 n. 3 così recita: «Se prima della morte non diedero alcun segno di pentimento, devono essere privati delle esequie ecclesiastiche: […] gli altri peccatori manifesti, ai quali non è possibile concedere le esequie senza pubblico scandalo dei fedeli». Per quale motivo la Chiesa ha preso questa decisione così anti-buonista? Il canonista Luigi Chiappetta commenta: «Le esequie ecclesiastiche, come ogni azione liturgica (can. 837), sono segno ed espressione di comunione ecclesiale. Non possono pertanto essere concesse a coloro che vivono fuori di questa comunione».

Sarebbe poi un gesto contrario alle (presunte) volontà di coloro i quali con le loro condotte hanno detto un “No” radicale alla Chiesa. Perché chiamare in causa un’autorità morale espressamente rifiutata dai peccatori manifesti? Non sarebbe contraddittorio e persino non rispettoso delle scelte dei pubblici peccatori?

Applichiamo il contenuto del canone al caso dei due giovani morti in montagna. Gli sfortunati Alex e Luca non erano amici eterosessuali, ma per loro stessa ammissione, certificata sulle loro pagine Facebook, erano una coppia omosessuale e le condotte omosessuali sono peccato, anche se tale giudizio alle orecchie di molte anime belle e cattoliche può risultare oggi urticante. Per essere esclusi dalle esequie però il Canone prevede non la semplice qualifica di “peccatori”, altrimenti i funerali si azzererebbero, ma la qualifica di “peccatori manifesti”.

 Alex e Luca lo erano? Don Roberto lo esclude: «C’è rispetto per quella che è stata la loro relazione, non li consideriamo di certo pubblici peccatori. La Chiesa condanna l’omosessualità esibita, io non ho conosciuto direttamente nessuno dei due, ma non mi sembra fosse questo il caso». Questo è errato perché in entrambe le pagine Facebook di Alex e Luca la loro relazione omosessuale è resa pubblica: la foto principale di entrambi i profili li vede baciarsi e in molte altre foto vengono ripresi in atteggiamenti intimi; nella pagina di Luca si legge che è «fidanzato ufficiale con Alex Ferrari», le decine di commenti danno per fatto notorio che la loro era una relazione omosessuale e in data 13 luglio 2016 Luca aveva scritto all’indirizzo di Alex: «La verità è che ho sempre avuto paura, fin da quando ti ho conosciuto, perché sapevo che saresti stata una di quelle persone che avrei sempre avuto paura di perdere (…). Le cose belle mi fanno sempre paura. Perché non voglio che finiscano mai, non voglio che io e te finiamo divisi, separati, insomma non ti voglio perdere». Più pubblico di così è difficile immaginare.

Si potrebbe obiettare: forse i due diedero segno di pentimento prima di moriree quindi via libera ai funerali. La Chiesa per giudicarlo non può appellarsi a supposizioni astratte, ma deve avere prove concrete. Ora i due pare che siano morti nello stesso letto e comunque sotto lo stesso tetto di quella villetta in cui avevano deciso di passare il Capodanno da “fidanzatini”. Difficile supporre quindi un pentimento. Infatti il pentimento comporta anche il rifiuto di continuare la relazione omosessuale e qui addirittura – per bocca e decisione dello stesso parroco – si celebra la loro unione omosessuale, segno evidente che pentimento non c’è stato. Infatti da una parte don Roberto ha dichiarato: «C’è rispetto per quella che è stata la loro relazione». E in aggiunta ha deciso di celebrare congiuntamente i funerali, proprio come se a morire fossero stati marito e moglie. Una volontà esplicita di incensare la relazione omosessuale. A margine, ma non troppo: si deve rispettare la dignità della persona, di qualsiasi persona, non si deve giudicare la responsabilità morale soggettiva, ma non si può rispettare una relazione omosessuale perché intrinsecamente disordinata.

Ma anche nel caso in cui ci fosse stato pentimento, le esequie, per i pubblici peccatori, devono essere escluse perché il loro peccato pubblico ha causato un altrettanto pubblico scandalo. Poco importa che molti si sono abituati all’omosessualità, anzi: la celebrazione delle esequie incoraggerebbe quegli stessi molti a ritenere l’omosessualità cosa buona e giusta: «Se è accettata anche dalla Chiesa che male c’è?». La Congregazione per la dottrina della Fede in una circolare del 29 maggio 1973 però aggiungeva: «Lo scandalo dei fedeli e della comunità potrà tuttavia essere attenuato o evitato nella misura in cui i pastori sapranno illustrare in modo conveniente il significato delle esequie cristiane, in cui molti vedono un ricorso alla misericordia di Dio e una testimonianza di fede della comunità nella risurrezione dei morti e nella vita del mondo che verrà».

Il parroco non sapeva che pesci pigliare in questa situazione? Se diceva di no alle esequie sarebbe stato bollato come omofobo? A parte il fatto che seguire Cristo comporta sempre piccoli o grandi martiri, il Codice di diritto canonico arriva in soccorso anche dei dubbiosi: «Presentandosi qualche dubbio, si consulti l’Ordinario del luogo, al cui giudizio bisogna stare» (can. 1184, § 2). Il vescovo è stato consultato?

Ovviamente la stampa laica esulta dato che abbiamo ancora una volta un imprimatur ecclesiastico all’omosessualità, un uso strumentale del sacro per fini, a dir poco, profani, a dir molto, contrari a dottrina. C’è chi addirittura vede la celebrazione come un preludio alla futura e sperabile celebrazione cattolica dei “matrimoni” gay. Vito Mancuso su Repubblica naturalmente tira in ballo Papa Francesco: «Prima di lui infatti, quando più che di “misericordia” si preferiva parlare di “valori non negoziabili”, l’apertura del parroco sarebbe stata molto più difficile, e ancor più l’approvazione di essa da parte del vescovo diocesano. Ma grazie a papa Francesco la Chiesa impara che di “non negoziabile” c’è solo l’amore e la generosa umanità che da esso consegue, impara che le persone sono molto più importanti delle norme canoniche».

E poi aggiunge in modo significativo: «Sono importantissimi i riti, perché lì non si ragiona e non si giudica, solo ci si unisce a chi soffre, generando da questa comunione una specie di balsamo che consola almeno un po’ chi non è consolabile». Mancuso descrive una teologia della liturgia irrazionale («non si ragiona») e meramente sentimentale.

Ovvio che sostenere che erano da evitarsi le esequie religiose per la coppia omosessuale appare impietoso, crudele e farisaico. Ma negare le esequie non significa abbandonare spietatamente il peccatore pubblico al suo destino eterno. Ci sono altri modi per esercitare la misericordia più adatti al caso. Se teniamo davvero alla salvezza eterna di quei due ragazzi, morti forse in peccato mortale, occorre pregare per loro, fare sacrifici e far dire messe in loro suffragio (il Codice vieta solo messe esequiali). Chi, tra coloro che esultano per le esequie di questa coppia omosessuale e quindi vuole apparire cattolicissimo perché ha capito il vero spirito evangelico della carità, lo farà?

Tommaso Scandroglio, fonte LaNBQ

 

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