Le corsie degli ospedali si tingono di arcobaleno

Si chiama “Oltre gli stereotipi di genere. Verso nuove relazioni di diagnosi e cura. Quaderno ad uso dei professionisti della salute”. Trattasi di un vademecum per operatori sanitari al fine di convertirli alla teoria del gender. L’idea è venuta ad Annalisa Felletti, Assessore Pari Opportunità, Pubblica Istruzione, Formazione Cooperazione Internazionale e Politiche per la Pace Comune di Ferrara. I testi sono stati scritti da Fulvia Signani, Psicologa e Psicoterapeuta dell’Azienda USL di Ferrara e da Laura Sighinolfi, infettivologa dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Ferrara. Tra i vari soggetti coinvolti nell’iniziativa editoriale segnaliamo l’Arcigay, le Famiglie Arcobaleno, l’AGEDO, cioè l’Associazione Genitori, parenti e amici di persone LGBT. Come chiedere ad un club di interisti quale è la migliore squadra italiana. La risposta è scontata.  

Passiamo al contenuto. Dopo il solito fervorino sul dovere di non discriminare le persone omosessuali e transessuali (3-9) e dopo aver tacciato la società italiana di essere molto maschilista (sic) (13), ecco esplicitare la quintessenza della teoria del gender in due punti. Primo: l’essere biologicamente maschi e comportarsi da uomini è un costrutto sociale, una moda dei tempi, non certo un dato di diritto naturale (13). La scienza ha posto anche il suo sigillo a questa teoria decretando l’esistenza dello “human continuum, o identità fluide” (14). Tra le personalità di spicco per validare questo assunto si cita anche il famigerato entomologo Alfred Kinsey, favorevole alla pedofilia (14). Secondo: l’orientamento sessuale non è una scelta (evidentemente l’omosessualità questa sì è un dato di natura immodificabile e non un costrutto sociale-psicologico) e dunque non assecondarlo provoca effetti negativi (14). Tentare di modificarlo con l’accompagnamento psicologico è pratica antiscientifica; ovviamente tutti gli orientamenti sessuali sono normali (14).

Segue la spiegazione dell’acronimo LGBTIAQ, codice fiscale del mondo arcobaleno (17). Si appunta inoltre che “le ricerche scientifiche […] confermano che gli ambienti domestici forniti da genitori omosessuali hanno le stesse probabilità di supportare e realizzare lo sviluppo psicosociale dei figli” (17). Rimandiamo ai seguenti articoli per una replica a questa tesi qui e qui.

Il vademecum poi prosegue individuando nell’eterosessualità intesa come unica condizione naturale per l’uomo la causa delle discriminazioni subite da persone omosessuali e transessuali: l’ “‘eteronormatività’ che è alla base di tutte le forme di discriminazione di orientamenti sessuali diversi da quello ‘solo eterosessuale’ in senso tradizionale ed è configurata in una visione del mondo che considera come naturale solo l’eterosessualità” (20). L’eteronormatività porta all’eterosessismo che conduce alla omonegatività e dunque alla fobia per omo e transessuali (20). In questa selva di neologismi indispensabili per descrivere un mondo che esiste solo nella testa degli ideologi gay, si sottolinea che tutto questo genera la cosiddetta “omofobia interiorizzata”: la persona omo o transessuale è infelice non a motivo della propria condizione ma per il fatto di essere discriminata (22-23). Falso, sia perché il numero di denunce per presunti atti discriminatori è infinitamente inferiore rispetto al numero di soggetti omosessuali e transessuali che accusano problemi psicologici, sia perché questi stessi disturbi si presentano in ambienti fortemente inclusivi ove gay e trans vivono, sia perché i gruppi sociali realmente discriminati non presentano tali disagi psicologici.

I medici possono essere portatori sani di questa omonegatività, cioè possono discriminare senza accorgersene perché affetti da “un’inevitabile eterosessualità” (23). Da qui l’invito rivolto ai professionisti in camice bianco a “de-costruire posizioni di pensiero abitudinarie” (26). E giungiamo così al piatto forte di questo vademecum: i consigli per tingere di arcobaleno le corsie degli ospedali.

Primo: cari medici chiedete pure l’orientamento sessuale del paziente altrimenti è segno discriminatorio (26). Così se lo chiederete prima di un intervento di appendicectomia state pur certi che finirete in tribunale perché non avete rispettato la privacy dal paziente che si sarà sentito discriminato da una domanda che, di massima, non c’entra nulla con la sua appendice infiammata. In secondo luogo “occorre fare attenzione a porre domande che presuppongano il dare per scontato l’eterosessualità (ad esempio ‘è sposato/a?’) o riferimenti a mariti o mogli” (27). Quindi bene chiedere se il paziente è omosessuale, male chiedere se è sposato. In terzo luogo se una donna lesbica si reca da un ginecologo perché aspetta un bambino avuto tramite eterologa, guai ad accennare alla figura del padre (31). Comprensibile poi che la donna in questione rifugga da qualsivoglia visita ginecologica “per evitare di incorrere nello sguardo […] omofobico” (sic) del medico (31). Detto in termini più veristi, la vagina delle lesbiche non tollera sguardi omofobici.

Quarto punto che riguarda la cosiddetta “omogenitorialità”. Dopo essersi lamentati che il/la compagno/a non genitore biologico del minore non ha diritti in ambito clinico-decisionale – e perché dovrebbe averli dato che giuridicamente non è genitore? – si consiglia disinvoltura ai medici eteronormativi: “quando in ambulatorio si presenta un neonato o un/a bambino/a con due genitori dello stesso sesso è auspicabile un’accoglienza senza riserve e con la stessa disinvoltura riservata alle altre coppie di genitori” (32).

Quinto: si elencano una serie di asserzioni vietate. Nel vademecum si legge infatti: “ecco l’elenco dei pregiudizi e credenze omofobiche più frequenti che i professionisti dovrebbero evitare quando hanno in cura un minore con genitori omosessuali: i figli devono avere una mamma e un papà”. Se non è rivoluzione antropologica questa cosa è? “Una coppia omosessuale che desidera un figlio non ha fatto i conti con i limiti che la sua condizione gli impone”: maledetta madre natura omofobica che non fa nascere bambini dai rapporti anali. “Le lesbiche e i gay non sono in grado di crescere un figlio; le lesbiche sono meno materne delle altre donne; le relazioni omosessuali sono meno stabili di quelle eterosessuali e quindi non offrono garanzia di continuità familiare; i figli di persone omosessuali diventano più facilmente omosessuali” (32). Tutte asserzioni invece che discendono da molteplici studi scientifici.

Di contro i medici devono essere consapevoli che “i ruoli genitoriali non devono considerarsi ancorati al genere dei genitori” (un maschio ad es. può fare il mammo); “la cosiddetta ‘famiglia tradizionale’ è lungi dall’essere l’unica possibile, poiché il dispositivo (sic) familiare è stato oggetto di mutazione e ridefinizioni continue nel tempo; dal confronto tra genitori omo ed eterosessuali non sono emerse differenze per quanto concerne le capacità genitoriali, il concetto di sé e il benessere psicologico; non esistono ricerche in grado di dimostrare difetti specifici nella continuità e durata delle coppie gay o lesbiche; i percorsi di sviluppo e l’adattamento psicologico dei figli cresciuti da genitori omosessuali sono del tutto sovrapponibili a quelli mostrati da figli cresciuti da genitori eterosessuali; l’omosessualità è una condizione entro cui la genitorialità può essere pienamente esercitata; i fattori di rischio non risiedono nell’essere genitori omosessuali, ma nei pregiudizi sociali sugli omosessuali” (32). La replica a queste affermazioni può essere rinvenuta negli articoli prima citati.

Tommaso Scandroglio in La nuova Bussola Quotidiana

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