LA PERSECUZIONE INFINITA

La Fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre ha presentato nella sede della Stampa estera la XIII edizione del Rapporto sulla libertà religiosa. Un dossier da cui emerge un quadro globale sempre più drammatico, non solo per i cristiani.
Il perché lo abbiamo chiesto al direttore di Acs Italia, Alessandro Monteduro.

“Per anni abbiamo avuto la percezione che la persecuzione religiosa fosse figlia di un’azione riconducibile allo Stato. Quanto avvenuto nel XX Secolo, con l’ateismo di stato, è lì a dimostrarlo. Oggi quello che accade in Corea del Nord è diretta conseguenza di quel pensiero politico: è lì che registriamo la situazione peggiore, non è tollerato alcun gruppo che non adori la famiglia “regnante”. Registriamo uccisioni, detenzioni, lavori forzati, anche se non abbiamo dati ufficiali. Possiamo raccontare alcuni episodi come quello di un reverendo condannato ai lavori forzati a vita perché accusato di sovversione per aver esercitato il suo ministero o quello di una donna condannata a morte con l’accusa di aver diffuso alcune Bibbie. Ma la novità (che non è uno scoop ma il racconto di quello che è accaduto nell’ultimo biennio in quei 23 Paesi nei quali e ai quali c’è maggior attenzione perché teatro delle persecuzioni più feroci) è che in 12 di questi Paesi la violenza contro le minoranze religiose è messa in atto da organizzazioni fondamentaliste iper-estremiste o ultra-radicali”.     

Per esempio?
“Prendiamo il caso del Nord della Nigeria, dove opera il gruppo terrorista di Boko Haram, che peraltro sconfina anche in Camerun. La Nigeria è una federazione di 36 Stati: in 12 di essi è stata introdotta la sharia e Boko Haram punta a imporla in tutto il Paese. Oppure la ben nota situazione di Iraq e Siria: qual è il fine dell’iperestremismo dell’Isis? Partendo da un credo religioso, e solo in apparenza è un paradosso, è cancellare qualsiasi altro gruppo non conforme al loro credo. Rispetto alle persecuzioni di matrice statale il risultato è sempre lo stesso ma abbiamo voluto mettere in evidenza le differenti modalità”.

Com’è complessivamente la situazione rispetto al passato?
“E’ indubbiamente peggiorata, proprio per la ferocia delle ramificazioni tentacolari di questo radicalismo. Possiamo dire che un Paese su 5 nel mondo ne è stato colpito: basti pensare a quello che è accaduto in Francia, in Belgio o in Turchia”.

Nessun segnale positivo?
“In alcune realtà c’è stato un lieve miglioramento e nel Rapporto l’abbiamo voluto evidenziare proprio per rappresentare la speranza di un cambiamento. Penso all’Egitto, dove una recente normativa rende meno complicata, meno burocraticizzata la costruzione di luoghi di preghiera. O al fatto che il presidente Al Sisi abbia partecipato alla Messa di Natale dei copti. Sono piccoli segnali, che non significano certo che la realtà è molto migliorata ma sono pur sempre qualcosa”.

E la situazione in Cina? Si parla di possibili accordi con il Vaticano…
“Non sono un attore politico e non sta a me giudicare l’attività diplomatica della S. Sede. Io mi limito a raccontare la realtà dei fatti, e non so se questo crea difficoltà al dialogo. Tuttavia le condizioni delle minoranze religiose in Cina versano in una condizione drammatica. Cito un solo esempio: nella provincia di Zhejiang una modifica regolamentare introdotta nel 2014 ha stabilito che le chiese non possano essere più alte di una certa quota e che a loro volta le croci non possano essere più alte di un decimo dell’altezza dell’edificio. Ebbene, solo per questo sono state rimosse, o meglio abbattute, 2000 tra chiese e croci”.

I numeri dicono che delle 196 nazioni esaminate nel Rapporto 38 sono quelle che versano nella situazione più difficile. Di queste, 23 subiscono le persecuzioni più efferate: 12 da parte dello Stato e 11 da gruppi militanti radicali. Gli altri 15 Paesi si collocano nell’area tra la discriminazione e la persecuzione. Sette sono, infine, i Paesi per i quali è difficile perfino immaginare una classificazione, e dunque quelli in cui la libertà religiosa è in maggiore pericolo: Arabia Saudita, Iraq, Siria, Afghanistan, Somalia, Nord Nigeria e Corea del Nord, autentica “maglia nera” di questa triste graduatoria.

La presentazione è stata introdotta dal presidente di Acs Italia, Alfredo Mantovano, secondo il quale “il Rapporto è uno strumento per sostenere le comunità perseguitate attraverso i progetti”. A moderare l’incontro il Direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio. Il “Rapporto ACS serve per dare “una sveglia” sul tema della persecuzione – ha detto – Ogni giorno, con il mio lavoro constato quanto le tragedie che si ripetono con ciclicità e insistenza nel mondo non vengono considerati notizie solo perché non hanno fine”.
E’ intervenuto anche il presidente internazionale di Acs, il cardinale Mauro Piacenza, il quale ha affermato che “la libertà religiosa deve essere tutelata in ogni ordinamento giuridico; in particolare, le moderne democrazie non debbono fondarsi sul relativismo, bensì sul rispetto della libertà religiosa, che deve essere riscoperta nel foro pubblico” perché “la libertà religiosa è la madre di tutte le libertà”, in quanto “affonda le radici nella stessa persona umana, costitutivamente aperta al mistero”.

Giuliano Amato, giudice della Corte Costituzione, ha affermato dal canto suo che mentre “permane la persecuzione di Stato, se ne aggiunge anche un’altra, con un fondamento più ampio”. Il dittatore nordcoreano è “un caso di follia che fa vittime, ma il vero problema è l’attuale fondamentalismo religioso – ha proseguito l’ex premier – E alla radice del fondamentalismo c’è la laicizzazione estrema che intende sradicare la religione, e che genera una reazione identitaria; comprimere la religione determina una distorsione del sentimento religioso.”. Amato ha concluso dichiarando che “si possono fare guai anche con la “laïcité francese”, perché può favorire la reazione fondamentalista”.

Toccante la testimonianza di monsignor Jacques Behnan Hindo, arcivescovo siro-cattolico di Hassaké-Nisibi (Siria). “La sharia nega la libertà di coscienza” ha detto, ribadendo che “in Siria non c’è libertà per i cristiani” e questo soprattutto perché in quella nazione, storicamente terra di invasioni, “l’Islam è politico. Daesh non è solo anticristiano, è anti-tutti quelli che non sono Daesh. La Chiesa di Roma fa tutto ciò che può per aiutarci” ha proseguito il vescovo, che considera molto importante la prossima imposizione della berretta cardinalizia a monsignor Mario Zenari e la decisione del Papa di lasciarlo come nunzio apostolico in Siria.

di Andrea Acali in: In Terris

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