Il parroco spiega perchè il capo scout gay non può fare l’educatore

Don Francesco Fragiacomo torna a parlare o ancor meglio a chiarire la sua posizione di parroco nella vicenda di cui abbiamo parlato pochi giorni fa a proposito del capo scout, nella provincia di Gorizia, che si è unito civilmente con il suo compagno, e che il parroco ha definito non idoneo ad essere un educatore in parrocchia. A raccogliere la sua versione dei fatti Famiglia Cristiana, che lo intervista e di cui vi offriamo uno stralcio. Nel frattempo, pur chiamata in causa, la diocesi non ha rilasciato una dichiarazione formale anche se il responsabile dell’ ufficio stampa della Curia Mauro Ungaro ribadisce che «Sulle unioni civili la posizione della Chiesa è chiarissima: siamo contrari. Su questo caso in particolare non siamo intervenuti perché riguarda un educatore dell’ Agesci e deve essere l’ Agesci a intervenire in prima battuta, anche previa verifica interna. Come diocesi non abbiamo voluto alimentare polemiche che rischiano di essere irrispettose nei confronti delle persone coinvolte. Credo che molto presto ci sarà un confronto tra mons. Redaelli e i vertici nazionali dell’ Agesci tramite l’ assistente diocesano degli scout». Nel frattempo è tutto fermo, e appare dunque che il rimpallo di responsabilità abbia preso il sopravvento.

Toni molto pacati. Al telefono, il parroco spiega tutta la vicenda: «Marco Di Just è capo gruppo e capo clan Agesci da diverso tempo, guida un gruppo di venticinque adolescenti che vanno dai 16 ai 18 anni. Convive con il suo compagno da nove anni e a febbraio scorso ha fatto outing», racconta, «già quattro anni fa ho segnalato la vicenda al vescovo di Gorizia, mons. Carlo Maria Redaelli, anche per sapere se questo ragazzo poteva contare su un accompagnamento spirituale visto il ruolo delicato di educatore che riveste. Nessuno mi ha risposto. Il messaggio educativo che passa ai ragazzi è quello che unirsi con un uomo è normale. Come educatore è un bravo capo, dal punto di vista della fede tutto il gruppo scout ha molte carenze perché, di fatto, non c’ è un vero percorso di fede. Lo so perché c’ è anche mio nipote che ne fa parte».

A Don Francesco non va giù il clamore con cui è stata organizzata la cerimonia: «Tra gli organizzatori», dice, «c’ era anche don Eugenio. Dopo il rito, sono andati nel parco del paese e si sono baciati davanti a tutti. Forse un po’ di sobrietà non avrebbe guastato. Ripeto: un conto, come Chiesa, è essere accoglienti, un’ altro è rendere normale ed esaltare qualcosa che è al di fuori del magistero della Chiesa. Il vescovo mi ha detto di non creare tensioni e non alimentare polemiche, forse è preoccupato dell’ opinione pubblica. Secondo me, la questione si poteva risolvere quattro mesi fa chiamando i vertici regionali dell’ Agesci e l’ assistente diocesano e confrontarsi serenamente. Io non mi diverto a sollevare la questione, non ne ho mai parlato in pubblico ma ho solo scritto una riflessione sul bollettino parrocchiale».

Don Francesco spiega che lui accompagna spiritualmente molti omosessuali: «Li seguo, li confesso, li consiglio come deve fare un buon pastore. Un conto è l’ orientamento sessuale, un’ altra cosa è ostentare, andare a convivere, fare tutto pubblicamente contro il magistero della Chiesa. In questo caso, c’ è il ruolo di educatore che è molto complicato».

Da Aleteia

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