Il giudice plana sulla libertà di educazione: scuola condannata per licenziamento “gay” mai avvenuto

 

Continua l’ offensiva LGTB anche nelle scuole cattoliche, appoggiata dalla Cgil e dai radicali. Ecco alcuni stralci dell’ articolo di Andrea Zambrano apparso sulla Nuova Bussola Quotidiana, che coinvolge una scuola cattolica di Trento.

“Il titolo è di quelli sparati a sei colonne: “Scuola cattolica condannata a risarcire un’insegnante licenziata perché lesbica”. E il circo mediatico ieri non ha fatto altro che rilanciare la notizia come se fosse l’ultima tappa del cammino dei diritti dell’uomo nel nome della non discriminazione.  

25mila euro. Tanto l’Istituto Figlie del Sacro Cuore di Gesù di Trento dovranno risarcire alla voce danni patrimoniali e non, alla docente. Ma non solo lei è stata beneficiaria della sentenza. Anche la Cgil di Trento e l’associazione radicale Certi diritti riceveranno dall’istituto cattolico 1.500 euro a testa. La decisione del giudice si basa sul fatto che «la presunta omosessualità dell’insegnante nulla aveva a che vedere con la sua adesione o meno al progetto educativo della scuola», ma anche che la docente «ha subito una condotta discriminatoria tanto nella valutazione della professionalità, quanto nella lesione dell’onore». E siccome la decisione della scuola ha danneggiato non soltanto l’insegnante, ma anche ogni potenziale lavoratore interessato a quella cattedra, ecco che il risarcimento, simbolico, è stato esteso anche al sindacato rosso in rappresentanza di un del tutto ipotetico “lavoratore discriminato ignoto”.

Esulta il legale della donna, l’avvocato Alexander Schuster, il quale ribadisce come la decisione del giudice del lavoro fissi un punto di non ritorno: “I datori di lavoro di ispirazione religiosa o filosofica non possono sottoporre i propri lavoratori a interrogatori sulla loro vita privata o discriminarli per le loro scelte di vita. L’uso di contraccettivi, scelte come la convivenza, il divorzio, l’aborto, sono decisioni fra le più intime che una persona può compiere e non possono riguardare il datore di lavoro”. Messa così, tra interrogatori e scelte intime, la logica porterebbe a pensare che la cosa possa avere un senso e in ultimo una sua giustizia, con la scuola a giocare la parte della Gestapo e la vittima dall’altra parte.

Tutto nasce il 16 luglio 2014 quando la direttrice dell’istituto suor Eugenia Liberatore convoca l’insegnante in scadenza di contratto per discutere del rinnovo. La docente ha riferito di essere stata convocata per parlare di alcune voci sentite sul suo conto. Sempre la docente ha riferito che la religiosa le avrebbe fatto pressioni per smentire o confermare la sua tendenza omosessuale perché “ci sono dei bambini da tutelare”. Da lì si è arrivati al licenziamento. Che però non era tale dato che il contratto era scaduto. Quindi sarebbe stato più corretto parlare di mancato rinnovo, ma per la causa questo può essere ben tradotto in licenziamento.

Andò davvero così? Purtroppo non potremo mai saperlo perché la suora nel frattempo è morta e il processo che è approdato sul tavolo del giudice del lavoro ha visto la maestra da un lato e la persona che veniva accusata di discriminazione assente per avvenuto decesso. Ciononostante le dichiarazioni sulle quali si è basata la sentenza sono quelle della docente e non della suora che non ha potuto così difendersi.

Tanto più che la religiosa, successivamente intervistata, aveva sempre detto di aver approcciato la donna con rispetto, per chiarire quelle che erano le voci che sentiva sul suo conto. Ma il tentativo di approccio con la donna naufragò di fronte alla sua reazione.

Anche perché la vicenda sembrava risolta dopo l’intervento tanto della Provincia quanto del Ministero della pubblica istruzione. La prima avviò un’indagine pochi mesi dopo, che approdò ad un esito negativo. La Provincia, guidata da una giunta di centrosinistra, confermò i finanziamenti all’Istituto perché «non ci sono elementi per mettere in discussione la parità scolastica dell’istituto religioso Sacro Cuore di Trento». Ma anche il Ministero, che aveva minacciato provvedimenti seri nei confronti della scuola se fossero emersi elementi che confermassero quelle accuse, non ha fatto sapere mai nulla in merito. Venne coinvolto persino il ministro Stefania Giannini, poi la cosa finì nel dimenticatoio perché evidentemente a carico della religiosa non emerse nessuna violazione del diritto del lavoro. Dunque né la Provincia né il Ministero si fecero carico della richiesta di reintegro dell’insegnante.

Ieri la sentenza che tocca un passaggio molto delicato sul quale non sarà difficile per i Radicali, che sanno sfruttare certi casi pilota, porre il tema del controllo delle scuole paritarie. Il giudice infatti ha preso in esame la cosiddetta clausola di salvaguardia prevista nel decreto legislativo 2016/2003 per le cosiddette organizzazioni di tendenza. Si tratta cioè, e qui siamo di fronte ad una scuola di ispirazione religiosa, di una clausola a tutela delle scuole cattoliche o di qualunque altra associazione religiosa secondo la quale, si legge all’articolo 3 comma 5 «non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell’ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività».

Il tribunale però ha sottolineato che “nel caso qui in esame è stata perpetrata una discriminazione per orientamento sessuale e non per motivi religiosi”. E pazienza se lo stesso giudice riconosce che “l’orientamento sessuale di un’insegnante» è «certamente estraneo alla tendenza ideologica dell’Istituto».

Però la stessa legge, poco prima, all’articolo 3, comma 3, recita testuale: “Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell’ambito del rapporto di lavoro o dell’esercizio dell’attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività medesima”.

Insomma: come giustificare ai fini di questa legge la sentenza di ieri?

Resta la domanda di fondo: sulla base della sentenza di ieri quanto spazio rimane alla libertà d’educazione, per continuare ad essere esercitata nel rispetto delle libertà altrui? Domande alle quali forse un giudice potrebbe rispondere ribaltando la decisione nel caso la scuola, che ha preferito non commentare, scegliesse per il ricorso. In ogni caso: per la vera libertà, di educazione, di impresa e di religione, quella di ieri è stata una giornata nera.”

Andrea Zambrano

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