Il Cardinal Biffi su: Immigrazione: “ Lo stato non può sottrarsi al dovere di regolamentarla positivamente con progetti realistici”

 

La questione dell´immigrazione

Sull´immigrazione mi limito a richiamare schematicamente quanto ho avuto occasione di dire lo scorso anno.

Alle comunità cristiane proponevo tre persuasioni semplici ed essenziali.

Non è per sé compito della Chiesa e delle singole comunità risolvere i problemi sociali che la storia di volta in volta ci presenta. Noi non dobbiamo perciò nutrire nessun complesso di colpa a causa delle emergenze anche imperiose che non ci riesce di affrontare efficacemente.
Dovere statutario del popolo di Dio e compito di ogni battezzato è di far conoscere Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio morto per noi e risorto, e il suo necessario messaggio di salvezza. E´ un preciso ordine del Signore e non ammette deroga alcuna. Egli non ci ha detto: “Predicate il Vangelo a ogni creatura, tranne i musulmani, gli ebrei e il Dalai Lama”.

Allo stesso modo, è nostro dovere l´osservanza del comando dell´amore. Di fronte a un uomo in difficoltà – quale che sia la sua razza, la sua cultura, la sua religione, la legalità della sua presenza – i discepoli di Gesù hanno il dovere di amarlo operosamente e di aiutarlo a misura delle loro concrete possibilità.

Tre convincimenti esprimevo anche nei confronti dello Stato italiano.     

Di fronte al fenomeno dell´immigrazione, lo Stato non può sottrarsi al dovere di regolamentarlo positivamente con progetti realistici (circa il lavoro, l´abitazione, l´inserimento sociale), che mirino al vero bene sia dei nuovi arrivati sia delle nostre popolazioni.
Poiché non è pensabile che si possano accogliere tutti, è ovvio che si imponga una selezione. La responsabilità di scegliere non può essere che dello Stato italiano, non di altri; e tanto meno si può consentire che la selezione sia di fatto lasciata al caso o, peggio, alla prepotenza.

I criteri di scelta non dovranno essere unicamente economici e previdenziali: criterio determinante dovrà essere quello della più facile integrabilità nel nostro tessuto nazionale o quanto meno di una prevedibile coesistenza non conflittuale. Un “ecumenismo politico” (per così dire), astratto e imprevidente, che disattendesse questa elementare regola di buon senso amministrativo, potrebbe preparare anche per il nostro popolo un futuro di lacrime e di sangue.

Ho la presunzione di avere con ciò enunciato in termini estremamente chiari delle proposte del tutto ragionevoli (anzi, se si vuole, “laicamente” ragionevoli). E moltissimi le hanno intese e apprezzate.

Mi sfugge invece come sia stato possibile muovere a questa posizione da parte di altri accuse come quelle di integralismo, di prevaricazione clericale, di intolleranza, di atteggiamento antievangelico, eccetera. L´ipotesi più misericordiosa che mi si presenta è che da parte dei miei critici, per il brigoso impegno di parlare, non si sia trovato il tempo di leggere ciò che io avevo scritto.

Quella dell´immigrazione è una questione difficile e complessa, e va affrontata con serietà di informazione e di indagine. Non si tratta perciò soltanto di leggere ciò che si vuol contestare (che è il minimo che si deve fare); bisogna anche – per dirla col Manzoni – “osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare”.

“Ma parlare, – continua il Manzoni con la sua saggezza al tempo stesso sorridente e impietosa – questa cosa così sola, è talmente più facile di tutte quell´altre insieme, che anche noi, dico noi uomini in generale, siamo un po´ da compatire” (I promessi sposi, cap. XXXI).
Queste affermazioni venivano fatte dal cardinale in tempi meno ardui degli attuali, in cui il fenomeno dell’ immigrazione sta sfuggendo ad ogni controllo e precisamente il 20 settembre 2001, a Bologna oratorio di San Filippo Neri, inaugurazione del convegno su “Multiculturalità e identità, oggi” promosso dall´istituto Veritatis Splendor.(dqy)

 

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