II DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C) – … Viene nell’ umiltà della condizione umana… il nostro Dio

Dal Vangelo secondo Luca

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa:
«Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».
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In un Europa che vuole che non si dica Buon Natale, dimenticando che essa si è costruita attraverso la fede cristiana, con quanto vi è stato di bene e di male, di brutto e di bello, di luci e d’ombre, in nome di uno pseudo rispetto per le altre religioni, ignorando così le nostre più intime e profonde radici e tradizioni io dico no.

Vorrei che la nostra fede fosse rispettata al pari delle altre e non cancellata in nome del politicamente corretto, così procedo andando verso Betlemme e verso il Natale, consapevole della mia pochezza, ma allo stesso tempo desideroso di andare a contemplare qualcosa di grande: un mistero che è realtà e che ha diviso la storia dell’umanità in due. Camminare ancora verso Betlemme e verso il Natale non significa andare verso una melliflua e sdolcinata storia, che può anche suscitare buoni sentimenti, ma andare verso un evento. Luca lo colloca bene nella storia del tempo. Un evento che per il cristiano è qualcosa di grande: Dio che viene nella storia nella carne umile e semplice di un bambino.
Per il non credente è respirare un’aria diversa, purificata, resa più dolce dalla bontà che può sgorgare anche da un cuore ferito e pieno di cicatrici.

Natale e Betlemme sono la speranza che l’amore sa farsi piccolo e grande nello stesso tempo. Piccolo come un bimbo, fragile, debole; grande come un’umanità nuova, diversa; non improntata dalla ricerca della propria auto affermazione, dall’egoismo, ma dall’amore che diventa dono, disponibilità, sacrificio silenzioso, ma per questo perla preziosa.

Speranza di un mondo rinnovato dove ogni alta montagna,” Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte
e quelle impervie, spianate.” Sono le rupi perenni dell’egoismo, dell’odio, della cattiveria, dell’arroganza, della prepotenza che non risparmia i piccoli, i deboli, i fragili di cui oggi si sente parlare spesso ma solo in certi ambiti. Occorrerebbe chiederci, però, qual è questa fragilità: quella fisica, quella materiale, quella morale, quella spirituale. Che dire poi della fragilità che nasce dalla paura della morte, che è comunque ineludibile, di fronte alla quale la risposta è la fede, ma per chi non crede è quell’anelito grande, profondo di un desiderio di vita e di eternità che ha la sua dimora nell’intimo profondo di noi stessi, nei nostri cuori.

La storia ci presenta uomini e donne piccoli, ma anche grandi.
Pensiamo a un Giovanni Bosco con il suo impegno a favore dei giovani, a un Filippo Neri, a un Massimiliano Kolbe che muore nel campo di concentramento di Auschwitz per salvare un padre di famiglia, a un Giovanni Paolo II, e a un Giovanni XXIII, e tanti altri anonimi assieme a tanti uomini di buona volontà. Dentro la violenza e la cattiveria un raggio di luce si fa strada per portare speranza in tutti i cuori anche quelli più esacerbati e in questa nostra umanità che è quella che è. Tutto parte da lì, da Betlemme, dal Natale.

C’è un’azione nella storia che non è solo umana, ma sovraumana. La logica della storia umana è quella che ricerca titoli, onori, abbiamo letto nel Vangelo di Luca, imperatore, governatore, tetrarca …

Vi sono persone umili, povere quelle che non hanno titoli, quelle che non stanno nei palazzi del potere. Quelle che costruiscono la storia nel silenzio e nell’umiltà, e non sono asserviti da una logica del mondo che esalta l’apparenza, pseudo valori spacciandoli per veri, che non esista ad imporsi con arroganza, che non rispetta la persona, con i suoi diritti umani fondamentali, né la libertà.
Cari cristiani non abbiamo paura di uscire allo scoperto ed esaltare la speranza e un credere che non si può non coniugare con l’amore – carità per essere punto di domanda che interpella il mondo.

Saremo minoranza non abbiamo paura tutto sarà salvato da questa minoranza, che comunque non è sola ma ha qualcuno di più grande che cammina con lei.

Deo gratias, qydiacdon

 

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