Educare all’ Attesa

Incontro con i genitori di 1 media e 5 elementare!

Una provocazione dal libro dei proverbi …

 

… Ascolta figlio mio, l’ istruzione di tuo padre e non disprezzare l’ insegnamento di tua madre, perché saranno corona graziosa sul tuo capo e monili per il tuo collo. Figlio mio se i malvagi ti vogliono sedurre, tu non acconsentire! Se ti dicono: “Vieni con noi, (…)”, figlio mio non andare per la loro strada, tieniti lontano dai loro sentieri! I loro passi corrono verso il male … ( Pr 1, 8-11. 15-16a)

 Immagino che come genitori tutti voi, nel rapporto educativo con i vostri ragazzi vi troviate in una situazione ottimale,  oppure sta iniziando a cambiare qualcosa …?  Allora vorrei proporvi di fare un’ attività di questo genere dirci, se ci riusciamo, cosa trovate di cambiato,  nei vostri ragazzi, al di là di quelli che sono i cambiamenti evidenti esterni che si possono cominciare a notare in modo particolare nelle ragazzine, ( bimbe).

Perché questa proposta?

Perché i vostri figli, i nostri ragazzi, stanno entrando in un periodo che è quello della mutabilità. Per alcuni inizia per altri inizierà, nelle ragazzine in genere prima che nei maschi. Mutabilità che riguarderà non solo l’ aspetto fisico, ma anche quello cognitivo, quello psicologico, quello sessuale affettivo, quello morale religioso e quello relazionale.

 

Nel progetto della Diocesi di Brescia  intitolato: “ I primi Passi dei nuovi Cristiani” leggevo a proposito dei  fanciulli di questa età, che sono poi i nostri:

* Fra il termine della fanciullezza e l’inizio dell’adolescenza (verso gli 11-12 anni) si verificano importanti sviluppi, sia dal punto di vista fisico che sul piano dell’attività intellettuale, i quali  hanno molteplici riflessi non soltanto  sull’attività scolastica ma anche sulla vita affettiva ed emotiva, sui rapporti con i coetanei e il mondo degli adulti.

Non è facile descrivere in breve in che cosa consistano tali “progressi”; cercheremo tuttavia  di dare alcune indicazioni.

L’acquisizione della capacità di sviluppare un ragionamento e la crescente esigenza di affermazione possono avere dei riflessi di grande importanza oltre che sul piano scolastico anche su quello dei rapporti con i familiari, con gli insegnanti, o con gli adulti in genere.

Può svilupparsi nel ragazzo il bisogno  di elaborare delle convinzioni personali, oltre che sulla base del proprio vissuto anche attraverso l’attiva ricerca di nuove esperienze.

Un ragazzo di questa età può dunque facilmente venirsi  a trovare –  per quanto riguarda i suoi rapporti con quell’insieme di abitudini, di convinzioni e di atteggiamenti che formano il suo ambiente familiare – in una situazione di “marginalità”, caratterizzata da un periodico alternarsi di volontarie “uscite” da tale ambiente e di “rientri” pure volontari.

Da una parte, infatti, egli incomincia  

a volgersi alla ricerca di esperienze nuove che possono venire compiute al di fuori dell’ambiente familiare, della sorveglianza, diretta o indiretta, dei familiari. Tali esperienze possono essere circoscritte inizialmente alla “conoscenza”, compiuta in modo autonomo, di luoghi e di situazioni nuove, nelle quali siano richieste certe abilità tecniche.  La quasi completa libertà di movimento di cui egli gode, per quanto riguarda le attività che per lui sono “centrali”, gli permette però di introdurre poi delle modificazioni rapide e di ritrovare una condizione di freschezza e di entusiasmo che può favorire il percorso di maturazione.

Vi è il desiderio di uscire dall’atmosfera familiare e di cominciare ad avere un insieme di attività, di esperienze e di convinzioni soltanto proprie; ma vi è anche il desiderio di conservare la possibilità di rientrare in tale atmosfera ogni volta che per qualche ragione si sente  il bisogno di farlo.

La situazione di “marginalità psicologica”, nella quale un ragazzo di 11/12 anni tende volontariamente a porsi, può determinare,  periodicamente, una mancanza di sicurezza. Ciò può accadere tutte le volte che egli, nel tentativo  di compiere di persona certe esperienze nuove, si viene a trovare di fronte a situazioni insolite, o a difficoltà impreviste, delle quali non sa bene come uscire e di cui tuttavia desidera parlare con qualcuno (amico e adulto di cui si fida).

Il ragazzo può reagire a queste situazioni di insicurezza in più modi. Può cercare  di stabilire rapporti di profonda amicizia con un coetaneo dello stesso sesso, che assume  allora nella sua vita un ruolo preminente rispetto a quello di tutti gli altri; può cercare di entrare  a far parte di un gruppo di coetanei avente una certa stabilità ed una struttura abbastanza definita; oppure, contemporaneamente, può instaurare una relazione significativa con una  persona adulta  che stima ed ammira.

 

Questo sarebbe un po’ il contesto dentro il quale si muovono i nostri “eroi” che, fino a questo punto, hanno vissuto- come dice qualche esperto-  a livello morale e religioso una moralità d’ ambiente, cioè basata sull’ educazione ricevuta in famiglia – primariamente- o a scuola. Non dimentichiamo, però, che la scuola sta sempre più assumendo una posizione elusiva sull’ indicazioni  e la proposta di valori  attestandosi su una posizione sempre più relativista sulle questioni morali e religiose.  Qui vorrei a modo esemplificativo aprire una parentesi: pensiamo a tutto il discorso che viene fatto  in nome del rispetto della diversità per introdurre quella che è l’ ideologia, perché tale si può definire “gender”, che tende  a negare il valore della originalità maschile e femminile con la conseguente perdita di consapevolezza della propria identità. Parentesi chiusa.

In questa situazione nuova, per figli e genitori si apre un panorama completamente diverso. “Dalla terra alla luna”, se volessimo parafrasare il titolo di un libro di Verne che allora appariva di fantasia, ma che se andiamo a leggere adesso ci fa sorridere. Nel panorama che si apre davanti a noi, ancora qualche considerazione.

Difficoltà e necessità dell’educare nell’ottica della fede: il compito degli adulti e, in particolare, dei genitori

Le riflessioni seguenti sono prese liberamente da G. Angelini, Educare si deve, ma si può?, Vita e Pensiero, Milano 2002. In questo testo si sottolinea che il modo migliore per educare i ragazzi non è lasciarli crescere “naturalmente” e neppure  preoccuparsi o fare qualcosa per loro, bensì essere autenticamente se stessi, cioè adulti e genitori maturi ed esemplari. (Cfr. I primi passi dei nuovi cristiani – cit.)

 Il compito di educare è diventato oggi estremamente difficile. Non solo da realizzare, ma prima ancora da pensare. La fede cristiana ha di che offrire un contributo decisivo alla comprensione di quel compito.

  1. La crisi presente dell’educazione

Il compito educativo propone oggi nelle società occidentali difficoltà tanto grandi, da farlo appari­re quasi impossibile. Su tale giudizio è facile il consenso di tutti, e in particolare dei genitori. Il compito educativo è fatto consistere nel propiziare un processo, le cui direzioni di fondo sarebbero fissate a monte dell’iniziativa dell’educatore. I criteri di valore, a cui l’opera dell’educatore deve ispirarsi, sarebbero quelli suggeriti dalla natura o co­munque da un’identità del minore fissata a monte della vicenda del rapporto con lui, che l’educatore deve aiutare a emergere. Non è considerata l’ipotesi che rilevanza decisiva in ordine all’educazione abbiano in­vece le convinzioni personali dell’educatore, espresse dalla sua testimonianza personale di vita.

Ancor più remota è l’altra evidenza: la verità, che deve istruire l’iniziativa educativa, è quella espressa in prima battuta dalla relazione pratica che lega genitori e figli a monte rispetto ad ogni iniziativa consapevole e deliberata. Con i loro comportamenti spontanei, e prima ancora con la decisione stessa di generarli, i genitori esprimono una promessa al figlio. Il senso radicale dell’educazione è appunto quello di onorare una tale promessa.

Nella stagione moderna, segnata dalla cultura illuminista, figura di valore era l’età adulta. Il pro­gramma, in molti modi ripreso dalla cultura del Novecento, era quello di una ‘emancipazione’, di un’uscita dunque dalla ‘minore età’. La cultura ‘postmoderna’ appare invece attraversata dal tacito as­sunto che ‘adulto è brutto’. Cosi pensano e sentono non solo gli adolescenti, ma tutti. Gli ideali di vita proposti dall’industria culturale privilegiano stereotipi tipicamente adolescenziali. Modelli di vita cioè versatili, caratterizzati dalla permanente possibilità di ritrattare ogni scelta, estemporanei e senza memo­ria; loro tratto qualificante è uno spiccato narcisismo, e dunque un’attenzione ossessiva alla propria im­magine

Questo è un po’ il panorama nel quale i genitori, la comunità cristiana, i catechisti sono chiamati a trasmettere la fede. Nell’ ambito educativo vi sono alcune caratteristiche di fondo comuni che valgono per gli operatori pastorali, ma anche per i genitori.

 

  • la necessità di cogliere nella propria vita i messaggi che gli lanciano i ragazzi, come provocazioni alla sua fede. Un esempio: perché mi dici di andare a Messa, o perché devo confessarmi se tu non lo fai mai?
  • avere lui stesso una chiara progettualità centrata su Cristo, in vista di far crescere quella degli altri. Possiamo riassumerla così: Che ruolo ha Cristo e la relazione con Lui nella mia vita
  • sentirsi continuamente provocato a crescere nella propria vocazione umana, ecclesiale e sociale, possiamo intenderla in questo modo: interrogarsi e interpretare gli accadimenti della vita alla luce del Vangelo.
  • vivere una profonda dimensione ecclesiale. Come mi sento inserito all’ interno della comunità ecclesiale e della sua vita?

In sintesi: una figura di cristiano adulto nella fede che si apre alle loro domande, se ne lascia interpellare, le vive sulla sua pelle e, alla luce della Parola e dell’esperienza della Chiesa, le fa incontrare con la vita di Gesù. Lo scopo è promuovere nei ragazzi una progettualità di vita (pure appena impostata, ma nella direzione della globalità delle esperienze che la compongono) nell’ apertura agli altri e al mondo. In questo modo cresce la loro adesione a Cristo, si fa sempre più definito il progetto di vita e si chiarisce il loro compito nella Chiesa.

Dentro questo grande quadro vorrei allora inserire, dal momento che siamo nel tempo di Avvento, un breve riflessione sull’attesa! L’ Avvento è il tempo dell’ attesa!

Oggi l’attesa non è più di moda. Viviamo nell’epoca del tutto subito, dell’ immediato, dell’ ora e adesso!

Vorrei leggervi a proposito quello che scrive HENRI J.M. NOUWEN nel suo volumetto il Sentiero dell’ attesa.

“La maggior parte di noi pensa all’attesa come a qualcosa di molto passivo, uno stato senza speranza determinato da eventi completamente al di fuori delle nostre mani. L’autobus è in ritardo. Non ci puoi fare niente, cosi non ti resta che sederti e solo aspettare. Non è difficile capire l’irritazione che la gente prova quando qualcuno dice: “Semplicemente aspetta”. Parole come queste sembrano spingerci nella passività.

Ma non c’è nulla di questa passività nella Scrittura. Coloro che sono in attesa aspettano molto attivamente. Essi sanno che ciò che stanno aspettando sta germogliando dal terreno sul quale si trovano. Questo è il segreto. Il segreto dell’attesa è la fede che il seme è stato piantato, che qualcosa è iniziato. Attesa attiva significa essere pienamente presenti al momento, nella convinzione che qualcosa sta accadendo dove sei tu e che vuoi essere presente a quel momento.

Una persona in attesa è qualcuno che è presente al momento, che crede che questo momento è il momento. 

Una persona in attesa è una persona paziente. La parola ‘pazienza’ vuol dire la buona volontà di stare dove siamo e di vivere la situazione nella fede che qualcosa di nascosto si manifesterà a noi. Le persone impazienti si aspettano sempre che l’evento importante stia avvenendo in qualche altro luogo, e quindi vogliono andare altrove. Il momento presente è vuoto.

Le persone pazienti, invece, osano restare dove sono. Vivere con pazienza significa vivere attivamente nel presente e qui attendere. L’attesa, allora, non è passiva. Essa comporta il nutrire il momento, come una madre nutre il bambino che sta crescendo nel suo grembo.”

 Se ci pensiamo bene, l’ attesa è anche desiderio: di una situazione migliore, del realizzarsi di un progetto, di un incontro, pensate magari quando al tempo dell’ innamoramento! Attendere significa sperare…  e vorrei, ancora una volta fare una breve citazione di Péguy: «… la piccola speranza – egli scrive – avanza tra le sue due sorelle grandi e non si nota neanche […]. E non si fa attenzione, il popolo cristiano non fa attenzione che alle due sorelle grandi, la prima e l’ultima, e non vede quasi quella che è in mezzo, la piccola, quella che va ancora a scuola e che cammina persa nelle gonne delle sue sorelle. E crede volentieri che siano le due grandi che tirano la piccola per mano, in mezzo, tra loro due per farle fare quella strada accidentata della salvezza. Ciechi che sono che non vedono invece che è lei nel mezzo che si tira dietro le sue sorelle grandi» (Il portico del mistero della seconda virtù, in I misteri, Jaca Book, Milano 1978, p. 168).

Quando non si sa più attendere, quando non si attende più nulla non vi sono più speranze

Simone Weil, una scrittrice ebrea, ha detto: “Aspettare pazientemente nella speranza è il fondamento della vita spirituale”. Quando Gesù parla della fine dei tempi, parla precisamente dell’importanza dell’attesa. Dice che nazioni combatteranno contro nazioni e che ci saranno guerre e terremoti e sofferenza grande. Gli uomini saranno molto angosciati e diranno: “Il Cristo e là! No, è quì!”. Molti resteranno sconcertati, e molti saranno ingannati. Ma Gesù dice: dovete stare pronti, rimanere svegli, restare in sintonia con la parola di Dio, così che possiate sopravvivere a tutto quello che sta per accadere ed essere capaci di stare fiduciosamente (cum-fide, con fiducia) alla presenza di Dio insieme nella comunità (cfr. Mt 24). Questo è l’atteggiamento dell’attesa che ci permette di essere il popolo che può vivere in un mondo molto caotico e sopravvivere spiritualmente…

È importante riuscire ad educare i ragazzi all’ attesa e quindi anche alla pazienza, non solo, come mi sento sempre dire, perché saper farli attendere,  può aiutare a fargli comprendere il valore delle cose, ma proprio per quello che ci diceva Simone Weil. Noi viviamo questo tempo di attesa fra la prima venuta di Cristo e il suo ritorno, accompagnati dalla sua presenza vera, quotidiana, ma velata e che può essere colta solo con lo sguardo della fede.

La dimensione  dell’ attesa ci aiuta anche a capire e vivere l’ umiltà. L’ attesa di Dio ci invita a riconoscere che da soli non ce la possiamo fare a dare un senso compiuto alla nostra vita … Da soli non siamo autosufficienti, ma senza questa umiltà non aspettiamo nessuno, perché siamo già tutto. Se, noi, in particolare in questo tempo di Avvento siamo chiamati a riscoprire la “spiritualità” dell’ attesa non dobbiamo dimenticare che anche il Signore attende! “che Dio in Gesù Cristo è in attesa della nostra risposta all’amore divino, allora possiamo scoprire una prospettiva totalmente nuova su come stare in attesa nella vita. così la spiritualità dell’attesa non è semplicemente la nostra attesa di Dio. E’ anche partecipare all’attesa di noi da parte di Dio e in questo modo giungere a partecipare dell’amore più profondo, che e l’amore di Dio.

 Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. ( Apocalisse 3,20)

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Bibl. HENRI J.M. NOUWEN, Il sentiero dell’attesa, Queriniana, Brescia 1996, in Boscoland

L’ iniziazione cristiani dei fanciulli- 6 anno. Progetto catechistico Diocesi di Brescia

 

 

 

 

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