AMORIS LAETITIA I vescovi dell’Emilia Romagna sdoganano l’adulterio

Da qualche giorno erano attese, ieri sono state pubblicate sul sito della diocesi di Imola le linee guida dei vescovi dell’Emilia-Romagna contenenti “indicazioni sul capitolo VIII di Amoris laetitia”. Il documento si inserisce nel controverso dibattito che da circa tre anni attraversa la Chiesa cattolica a proposito dell’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati e, più in generale, sull’impianto della teologia e della dottrina morale.

Dopo la pubblicazione negli Acta apostolica sedis (una sorta di Gazzetta ufficiale della Santa Sede) della lettera di Papa Francesco ai vescovi argentini della regione di Buenos Aires, l’interpretazione del capitolo VIII di Amoris laetitia sembra incanalarsi verso una chiara direzione. Il 5 settembre 2016 Francesco indicava che «non sono possibili altre interpretazioni» rispetto a quella fornita dai vescovi argentini, e cioè che sarebbe possibile, in certi casi, accedere ai sacramenti anche convivendo more uxorio tra due persone che non sono marito e moglie.

I vescovi dell’Emilia-Romagna, se possibile, lo scrivono ancora più chiaramente al numero 9 delle loro linee guida:

«La possibilità di vivere da “fratello e sorella” per potere accedere alla confessione e alla comunione eucaristica è contemplata dall’Amoris laetitia alla nota 329. Questo insegnamento, che la Chiesa da sempre ha indicato e che è stato confermato nel magistero da Familiaris Consortio 84, deve essere presentata con prudenza, nel contesto di un cammino educativo finalizzato al riconoscimento della vocazione del corpo e del valore della castità nei diversi stati di vita. Questa scelta non è considerata l’unica possibile, in quanto la nuova unione e quindi anche il bene dei figli potrebbero essere messi a rischio in mancanza degli atti coniugali. È delicata materia di quel discernimento in “foro interno” di cui AL tratta al n. 300».

Questo passo ha una certa coerenza con la famigerata nota 329 di Amoris laetitia, anche se i vescovi dell’Emilia-Romagna lo esplicitano in modo ancor più evidente. Si possono compiere, in certi casi, atti coniugali che tali non sono e accedere ai sacramenti. La nota 329, in effetti, cita fuori contesto la Gaudium et spes del Vaticano II. Fuori contesto perché in modo chiaro la costituzione pastorale del Concilio al numero 51 si riferisce agli sposi e non a coloro che sposi non sono: «Là dove – si legge in Gaudium et spes – è interrotta l’intimità della vita coniugale, non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli: allora corrono pericolo anche l’educazione dei figli e il coraggio di accettarne altri». Secondo la nota 329 di Amoris laetitia, invece, sembra che gli atti coniugali tra divorziati risposati civilmente (e quindi non c’è nessuna intimità coniugale interrotta perché non c’è nessun matrimonio sacramentale) potrebbero, in certi casi, rappresentare una sorta di bene possibile. I vescovi dell’Emilia-Romagna lo hanno messo nero su bianco in modo anche più esplicito.

Il cardinale Gerhard Muller, ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, che ha recentemente prefato un libro del professore Rocco Buttiglione proprio su questo dibattito, ha scritto un interessante saggio per la rivista statunitense First things. A proposito della condizione di vivere come “fratello e sorella” per accedere ai sacramenti, scrive Muller, «indipendentemente dalla questione del soggettivo stato di grazia di una persona – del quale, in ultimo, solo Dio è giudice – è necessario che quanti vivono in contraddizione oggettiva con i comandamenti di Dio e l’ordine sacramentale della Chiesa prendano la risoluzione di cambiare il proprio modo di vivere per poter essere riconciliati con Dio e con la Chiesa nel sacramento della Penitenza. (…) Nei casi in cui vi siano gravi ragioni per non sciogliere la nuova unione e dove una dichiarazione di nullità della prima unione non possa essere ottenuta, l’obiettivo di questo cammino spesso difficoltoso e lungo è di vivere insieme come fratello e sorella e poter così accedere alla Santa Comunione».

Il punto è chiaro e riguarda la liceità degli atti extraconiugali, per un discorso che si potrebbe allargare anche ai semplici conviventi. Ma al di là delle questioni teologiche e sacramentali, strettamente connesse anche con quelle di uno sviluppo omogeneo della dottrina e della prassi ecclesiale, c’è anche una domanda che riguarda il valore attribuito alla castità e alla “vocazione del corpo”. Nelle linee guida dei vescovi emiliano romagnoli non si comprende bene quale valore dare all’amore umano: è definito in modo decisivo solo dai rapporti sessuali? Secondo Giovanni Paolo II e la sua teologia del corpo, peraltro ampiamente citata anche in Amoris laetitia, la continenza (anche per i coniugi, che non possono essere considerati animali in preda agli istinti), non comporta l’impoverimento delle «manifestazioni affettive», anzi le rende più intense spiritualmente, e quindi ne comporta l’arricchimento. E’ chiaro che queste vette richiedono un cammino, ma con la grazia di Dio tutto diventa possibile.

Sembra che queste linee guida emiliano romagnole siano state fortemente volute soprattutto da tre vescovi – Zuppi di Bologna; Castellucci di Modena e Perego di Ferrara – che hanno dovuto superare le resistenze di altri confratelli. Del resto, in un movimento che appare partito dall’alto, ci sono diversi vescovi che stanno spingendo le rispettive conferenze epicopali regionali ad approvare analoghe linee guida. Anche la Conferenza episcopale lombarda, nonostante il cardinale Angelo Scola avesse già pubblicato delle linee guida, ha recentemente dichiarato di lavorare a un documento analogo. Questo attivismo delle conferenze episcopali sembra animato da un certo zelo, come a coprire quei dubbi già sollevati da quattro cardinali e che, invece, sono più diffusi di quanto si vorrebbe far credere.

Lorenzo Bertocchi
In La NBQ

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