L’IMPEGNO ANTIMASSONICO Papa Luciani e la guerra di dottrina con i gesuiti

Nella seconda puntata su Albino Luciani abbiamo affrontato la sua adesione profonda all’enciclica così dibattuta del suo predecessore, l’Humanae vitae. Divenendo papa, Luciani sapeva benissimo che avrebbe dovuto prendere sulle spalle una croce molto pesante. Si presentò subito al popolo di Dio come egli era: un insegnante di catechismo per fanciulli ed un pastore. Per Luciani non vi era alcuna difficoltà a tenere insieme le due cose: il pastore non vuole che nessuna delle sue pecore vada dispersa, per questo è pronto ad indicare ad ognuna, con tutto l’amore e la pazienza possibili, la retta via dell’ovile.

Uno dei suoi pochi testi rimasti si intitola Catechetica in briciole, e contiene riflessioni come questa: Messo da parte il catechismo non saprete che mezzi adoperare per fare buoni piccoli e grandi. Tirerete in campo la “dignità umana”? I piccoli non capiscono che cosa sia, i grandi se ne infischiano. Metterete avanti “l’imperativo categorico”? Peggio che peggio… Si dice che anche la filosofia e la scienza sono capaci di far buoni e nobili gli uomini. Ma non c’è neppure confronto col catechismo, che insegna in breve la sapienza di tutte le biblioteche, risolve i problemi di tutte le filosofie e soddisfa alle ricerche più penose e difficili dello spirito umano“.

Per Luciani il catechismo ha anche il grande merito di mettere nel cuore il senso del peccato, il rimorso: “il rimorso non lascerà loro aver pace nel peccato e presto tardi li ricondurrà al bene”. In questo era del tutto fedele alla Tradizione della Chiesa, che lungi dal separare verità e amore, carità e giustizia, misericordia e castigo, tiene insieme queste realtà inscindibili. All’inizio d’anno del seminario, il 20 settembre 1977, Luciani si era rivolto così ai suoi giovani: “Vi raccomando invece l’amore alla Tradizione: non siate di coloro che, abbagliati e accecati, più che illuminati, da qualche lampo, pensano che ora soltanto è nato il sole e vogliono tutto rovesciare e cambiare“.

Nei 33 giorni di pontificato Giovanni Paolo I si trovò di fronte a grandi difficoltà. Aveva intenzione, come si è già visto, di rinnovare la Curia, di riformare lo Ior e di affrontare il dossier spinoso dei prelati iscritti alla massoneria.

La lista dei 121 massoni stilata da Mino Pecorelli proprio nel 1978 conteneva non soltanto il nome di Paul Marcinkus, con cui Luciani aveva avuto a che discutere da patriarca di Venezia, ma anche quello di Donato De Bonis, braccio destro di Marcinkus, sul cui operato criminoso si è fatto luce soltanto pochi anni orsono, e i gesuiti Roberto Tucci, direttore della Radio Vaticana, Virgilio Levi, vicedirettore de L’Osservatorio Romano e Giovanni Caprile, firma insigne della Civiltà cattolica.

Che fossero davvero massoni, Luciani certamente non lo sapeva, ma tutto fa pensare che avrebbe voluto andare a fondo della questione.

Era convinto, infatti, che le idee rivoluzionarie che attecchivano tra i gesuiti, soprattutto i giovani, spesso sprezzanti vesrso la Tradizione e la Dottrina, rappresentassero un grosso problema per la Chiesa. Anzitutto per le loro innovazioni in campo dottrinale, così ben esemplificate dall’opera del gesuita Karl Ranher, non certo un amante del catechismo; in secondo luogo per i loro cedimenti in campo morale; infine, per la loro apertura al mondo, massoneria compresa.

Il vaticanista Benny Lay, ne Il mio Vaticano, ricorda spesso come la questione dei gesuiti fosse all’ordine del giorno anche all’epoca di Paolo VI.

Per esempio il 9 marzo 1970 Benny Lay scrive: “La nota con cui radio vaticana ha condannato le dichiarazioni di tre docenti gesuiti della Gregoriana a favore del divorzio è più severa del comunicato della Compagnia di Gesù…”; il 12 ottobre 1973, invece, Lay ricorda “il duro linguaggio, accompagnato da severi moniti, con cui Paolo VI si è rivolto ai gesuiti per la partecipazione della loro assemblea”; il 7 marzo 1974 nota che padre Tucci “ha risposto picche al cardinal Benelli” che gli chiedeva di partecipare ad una serie di conferenze per attivare i parroci romani contro il divorzio; il 27 febbraio del 1975 ricorda che “la maggioranza dell’assemblea dei gesuiti… ha bocciato la candidatura di padre Paolo Dezza, confessore di Montini”, cioè del papa.

Una questione che angustiava Montini, ed ancora di più Luciani (vedi ad esempio 30 Giorni, del 9 settembre 1993) era l’intenso dialogo aperto da alcuni gesuiti, tra cui il citato padre Caprile, con la massoneria. Il vaticanista Ignazio Ingrao, nel suo documentatissimo Il concilio segreto (Piemme, 2013) dedica un paragrafo al tema. Il titolo è: “Una loggia dei gesuiti?

Ingrao ricorda appunto i sospetti su padre Tucci e padre Caprile, finiti anche nelle lista di prelati massoni pubblicata da Panorama, ma soprattutto i fatti certi: “Ciò che è invece storicamente accertato è l’impegno profuso dal gesuita Caprile e dal religioso paolino Esposito nel promuovere incontri bilaterali con i massoni subito dopo il concilio. Dal 1960 al 1979 si svolgono ben nove ‘conversazioni bilaterali’. Per due volte i massimi vertici della massoneria italiana varcano il portone della sede della Civiltà cattolica per incontrarsi con i gesuiti…”.

E’ certo che Luciani non vedeva di buon occhio tali incontri bilaterali, che riceveranno il definitivo stop, dopo la sua morte, grazie a due cardinali tedeschi, Joseph Stimpfle e Joseph Ratzinger.

Fatto sta che nei suoi 33 giorni di pontificato non riuscì a fare chiarezza e pulizia, nè compiere molti atti di governo, nè a scrivere che poche lettere, molto brevi e per lo più di circostanza. L’unica lettera lunga e approfondita è quella rivolta “Ai gesuiti”. Avrebbe dovuto leggerla e consegnararla il 30 settembre 1978, cioè due giorni dopo la morte, in occasione di una speciale udienza ai procuratori della Compagnia di Gesù convenuti a Roma da ogni parte del mondo.

Si tratta di un testo ricco in cui, a parte i saluti di rito, vi sono continui richiami e severi moniti.

Il papa cominciava così: “Ma poichè voi, in questi giorni dovete procedere ad un esame circa lo stato della Compagnia mediante una valutazione sincera, realistica e coraggiosa della situazione oggettiva, analizzando se necessario le deficienze, le lacune, le zone d’ombra, voglio affidare alla vostra responsabile meditazione alcuni punti, che mi stanno particolarmente a cuore”. Deficienze, lacune, zone d’ombra: come inizio, non è dei più lusinghieri. Voi, continuava il papa, “vi preoccupate dei grandi problemi economici e sociali che oggi travagliano l’umanità”, “ma nella soluzione di questi problemi sappiate sempre distinguere i compiti dei sacerdoti religiosi da quelli che sono propri dei laici. I sacerdoti devono ispirare e animare i laici all’adempimento dei loro doveri, ma non devono sostituirsi ad essi, trascurando il proprio compito specifico nell’azione evangelizzatrice”.

In parole povere, il papa richiamava i tanti gesuiti dediti affascinati dalle dottrine marxiste, dediti alla politica, alla sociologia, al sociale, più che a Cristo stesso, per poi radicare questo errore in un fatto: l’allontanamento dalla “solida dottrina”.

Bisogna qui ricordare che il nome scelto da Luciani, Giovanni Paolo I, era anche in onore di san Paolo, colui che aveva scritto, nella II lettera a Timoteo: “Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero”.

Se nel passo di Paolo la parola “dottrina” ritorna ben due volte, affiancata, in un caso, dall’aggettivo “sana”, nel prosièguo del discorso di Giovanni Paolo I ai gesuiti la sottolineatura è ancora maggiore, l’insistenza quasi imbarazzante. Il papa ripete piùe più volte una parola che molti gesuiti non vogliono più sentire.

Egli infatti ricorda che “Sant’Ignazio esige dai suoi figli una soda dottrina”; raccomanda, tre righe sotto, di essere fedeli ad una “dottrina solida e sicura, pienamente conforme all’insegnamento della Chiesa”; invita poi a “non permettere che insegnamenti e pubblicazioni di gesuiti abbiano a causare confusione e disorientamento in mezzo ai fedeli”, e aggiunge: “ricordatevi che la missione affidatavi dal vicario di Cristo è di annunciare, in maniera bensì adatta alla mentalità di oggi, ma nella sua integrità e purezza, il messaggio cristiano, contenuto nel deposito della rivelazione”.

Il concetto non è abbastanza esplicito e forte? Luciani lo ripete ancora, invitando i gesuiti a formare i giovani con “una dottrina solida e sicura” perchè chi frequenta le loro scuole lo fa “per la sodezza e sicurezza di dottrina che sperano di attingervi”.

Ma non è finita. Il papa continua: “Non lasciate cadere queste lodevoli tradizioni (legate ad una severa disciplina religiosa, ndr); non permettete che tendenze secolarizzatrici abbiano a penetrare e turbare le vostre comunità”, perchè “il doveroso contatto apostolico col mondo non significa assimilazione al mondo, anzi esige quella differenziazione che salvaguardia l’identità dell’apostolo, in modo che veramente sia sale della terra e lievito capace di far fermentare la massa”.

Giovanni Paolo I, come si è detto, morirà prima di pronunciare questo discorso.

Ma un anno dopo, il 21 settembre 1979, Giovanni Paolo II, che avrà sempre un rapporto molto conflittuale con i Gesuiti, forse riecceggiuando il discorso del suo predecessore, ripeterà loro di dare al novizi una “formazione dottrinale con solidi studi filosofici e teologici secondo le direttive della Chiesa, e formazione apostolica indirizzata a quelle forme di apostolato che sono proprie della Compagnia, aperte sì alle nuove esigenze dei tempi, ma fedeli a quei valori tradizionali che hanno perenne efficacia“. Ancora una volta si trovano le due parole tanto invise: dottrina e tradizione.

Francesco Agnoli – La NBQ

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