Legge omofobia: ancora non c’è, ma è come se ci fosse già

Continua l’esame del disegno di legge Zan presso la Commissione Giustizia della Camera dei deputati. Approvato un emendamento cosiddetto ‘salva-idee”, ma in realtà solo una foglia di fico. In Aula forse solo dal 3 agosto, grazie all’ostruzionismo di Lega e Fratelli d’Italia. Intanto crescono in tutta Italia gli episodi di intolleranza contro chi dissente pubblicamente dalla norma. Un prete con la schiena diritta: don Calogero D’Ugo, parroco a Belmonte Mezzagno (Palermo).

E’ proseguita nei giorni scorsi la discussione in sede di Commissione Giustizia della Camera sul disegno di legge Zan “contro l’omotransfobia”. Gli oltre mille emendamenti presentati in gran parte da Lega e Fratelli d’Italia sono stati drasticamente ridotti su decisione della capigruppo a un massimo di dieci per partito e per articolo (9 gli articoli). E’ una decisione legittima sotto l’aspetto delle norme parlamentari, ma che in ogni caso la dice lunga sulla volontà della nota lobby di mettere in cascina a ogni costo (similmente a quanto accadde per la legge sulle ‘unioni civili’) un risultato positivo. Tuttavia, grazie alla caparbia contrarietà soprattutto di Lega e Fratelli d’Italia, i tempi si sono allungati: invece che domani, 27 luglio 2020, la discussione generale sul disegno di legge liberticida si aprirà in Aula non prima del 3 agosto e il voto decisivo dovrebbe scivolare alla Camera almeno a settembre (poi seguirà il Senato). In quel caso si spera, da parte del mondo pro-family (Difendiamo i nostri figli, Pro Vita&Famiglia, Sentinelle in piedi e molte altre associazioni), di poter organizzare una manifestazione nazionale a Roma di vasta portata (ma siamo ancora a livello di ipotesi, date le pesanti restrizioni – dovute secondo il Governo all’emergenza coronavirus – ad oggi sussistenti per le grandi manifestazioni di massa).

Giovedì 23 luglio però una novità (o almeno: vantata come ‘novità) c’è stata. La maggioranza commissionale ha fatto proprio, con lievi modifiche, un emendamento di Forza Italia all’articolo 2, chiamato subito “salva-idee” dalla stampa di regime. Non sorprende che l’Avvenire abbia subito smodatamente esultato (con il che si palesa per l’ennesima volta che il duo piumato Tarquinio-Moia è favorevole alla legge, pur emendata dove è possibile). “Omofobia, accordo salva libertà di idee” è il titolo di prima pagina. E dentro, in ‘Primo Piano’ a pagina 9, a tutta pagina: “Omofobia, intesa sul ‘salva-idee’ “, con il sommario: “Approvato l’emendamento che garantisce le libere opinioni ‘riconducibili al pluralismo delle scelte’. Maggioranza e Forza Italia d’accordo. Continua il dibattito in Commissione. Slitta l’arrivo in Aula”. Nell’articolo il turiferario Guastalamessa, al secolo sempre Luciano Moia, se ne rallegra, pur con qualche piccola cautela come è proprio di chi finge ogni tanto di essere equidistante.

Bufera all’interno di Forza Italia, con Malan e Gasparri a cercare di riportare il partito alla sua tradizione fondante anti-liberticida (sostenuti a sera dallo stesso Berlusconi): nel gruppo una larga maggioranza di deputati e soprattutto di senatori (è al Senato che si gioca la partita vera) respingerà così il disegno di legge. Qualcuno invece – contraddicendo ai principi su cui si basa il partito – si dichiara “aperto” alla legge: è il caso, oltre che di Giusi Bartolozzi, della nota Mara Carfagna.

L’emendamento approvato in Commissione è come una foglia di fico con cui il disegno di legge cerca di coprirsi per nascondere le sue brutture totalitarie: “Ai sensi della presente legge sono consentite la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte”.

Come hanno evidenziato diversi giuristi (del Centro Livatino, i Giuristi per la Vita e altri), quali sarebbero e chi dovrebbe valutarle le “condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e della libertà di scelta”? Poi: quando mai uno Stato democratico “consente” le “condotte legittime, ecc…” (che si legittimano appunto da sé, in forza della Costituzione)? Insomma è un emendamento con il quale si ripropongono quei ‘margini di discrezionalità’ per il giudice che rendono incerta la norma e suscitano paura in chi dissente.

A tale proposito ha ben scritto su La Verità del 25 luglio il magistrato Pietro Dubolino, presidente di sezione a riposo della Corte di Cassazione: “ Occorre (…) tener presente che qualsiasi norma che vieti, sotto forma di sanzione, determinati comportamenti ha come effetto (…) anche (e soprattutto) quello di scoraggiare, in maggiore o minore misura, quanti fossero tentati dall’idea di non osservarlo. Il che significa che, in presenza di divieti dai contorni non chiaramente definiti (come comunque sarebbe nel nostro caso), molti vengono necessariamente a essere indotti, per elementare senso di prudenza, ad astenersi da qualsiasi condotta che, anche solo ipoteticamente, potrebbe essere interpretata, nel contesto sociale in cui vivono, come non consentita. Ciò si traduce, ovviamente, in una limitazione, di fatto, della loro libertà di autodeterminarsi”.

Che i rischi per la libertà di espressione siano gravi lo dimostra quanto accaduto in varie parti d’Italia già prima dell’eventuale approvazione della legge “contro l’omotransfobia”. Lo confermano ad esempio gli schiamazzi contro le manifestazioni locali promosse da Pro Vita&Famiglia e dalle Sentinelle in piedi per riaffermare una forte opposizione alla norma liberticida: da Andria a Torino, da Modena (come rileva l’ex-parlamentare Carlo Alberto Giovanardi) a Roma (dove a piazza Montecitorio è stato perfino lanciato un fumogeno tra i manifestanti e il puzzo era molto fastidioso); gli ostacoli frapposti in alcuni comuni dalle amministrazioni locali (ad esempio in Alto Adige, in Calabria) all’organizzazione delle manifestazioni pro-family; il tanto inquietante quanto esemplare caso di Lizzano (Taranto) di cui abbiamo già riferito in questo sito, vedi https://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/962-bassetti-sconfessa-avvenire-manif-lizzano-con-premessa-polacca.html ). A Lizzano, in sintesi, il sindaco Antonietta D’Oria è intervenuto per intimare ai carabinieri intervenuti di smettere di chiedere, come di norma, le generalità dei disturbatori, ma piuttosto di identificare chi dentro la chiesa stava recitando un Rosario per la famiglia. La D’Oria, ça va sans dire, ha ricevuto subito la solidarietà vaneggiante della sua simile Monica Cirinnà (facebook, 15 luglio): “Condivido le parole di questa Sindaca coraggiosa e pienamente consapevole della laicità delle istituzioni repubblicane. Una laicità incisa nell’articolo 7 della Costituzione e basata sul reciproco rispetto”.

Solidarietà a Antonietta D’Oria anche da tanti altri attivisti della nota lobby, come – questo è interessante – uno dei maggiori esponenti dell’associazione e piattaforma ‘Gionata’ (animata da un gruppo di ‘cristiani omosessuali’ e coccolata, oltre che dall’Avvenire del piumato duo da alcuni cardinali e vescovi à la page). L’attivista si chiama Massimo Battaglio: sul caso di Lizzano si è strappato la foglia di fico e ha fatto piazza pulita (si vede che proprio non è riuscito a trattenersi…) di tutti i discorsi mielosi periodicamente imbanditi dai vari Zan. Infatti ha notato su twitter: “Mi dispiace per il parroco di Lizzano, ma questa è precisamente una di quelle azioni che giustamente la legge Zan potrebbe punire. Perché sfido chiunque a credere che si tratti davvero di una preghiera da non considerare come gesto provocatorio e di istigazione all’odio. Fateli pure, i vostri rosari blasfemi. Saranno gli ultimi”. Una dichiarazione molto ‘cristiana’ da incorniciare (la scolpiscano nella memoria cardinali e vescovi coccoloni, quelli insomma in, così graditi al potere).

Tra i tanti episodi dei giorni scorsi ne citiamo ancora uno, pure molto significativo. Don Calogero D’Ugo, parroco del Santissimo Crocifisso a Belmonte Mezzagno (nell’area metropolitana di quella Palermo retta dal noto Leoluca Orlando), in un’omelia – durante una celebrazione davanti alla chiesa – ha detto tra l’altro (vedi notizia dell’Ansa del 22 luglio 2020) che in Parlamento “c’è una legge bavaglio che vogliono approvare. E’ una legge che parla del reato di omofobia. Cioè che se tu esprimi un parere contrario ai gruppi omosessualisti puoi andare in galere. Se tu dici: non sono d’accordo che due uomini adottano un bambino, puoi essere denunciato e processato. Se a scuola a tuo figlio vengono a fare educazione gender, una madre che si ribella può andare sotto processo. (…) Adesso in Italia abbiamo le ‘categorie protette’. Sui preti puoi dire tutto, Dio lo puoi bestemmiare, sui giornalisti puoi dire tutto, sui politici no, sugli omosessuali se parli vai in galera. Qua non si tratta di non rispettare le persone con queste tendenze figuratevi, qua si tratta di voler mettere il bavaglio alla libertà di pensiero e di opinione, da parte di quelli che si dicono liberali e democratici. Ed è vergognoso se passa una legge di questo tipo”.

Bravo don Calogero, che è restato in piedi a schiena diritta e si è esposto pubblicamente in favore della verità dei fatti e della dottrina sociale della Chiesa, rischiando naturalmente di diventare bersaglio della nota lobby, che ça va sans dire l’ha fatto oggetto degli insulti più volgari e l’ha denunciato al suo vescovo, l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice. Pensate che quest’ultimo l’abbia sostenuto? Almeno pubblicamente no… anzi è più probabile che al coraggioso don Calogero sia arrivata una lavata di capo dal suo pastore così in…. (e sì che è un pastore che esalta a ogni piè sospinto le virtù dell’accoglienza e dell’inclusione… è vero, ma quella dei migranti clandestini favorite da Avvenire e da certe ong cattoliche… potenza del denaro!)

(Giuseppe Rusconi, Rossoporpora – 26 luglio 2020)

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