III Domenica di Quaresima C 2019 – Conversione, pazienza di Dio … portare frutto

Cambiare, cambiare … quante volte si sente questa parola. Cambiare nella politica, nell’ economia, nel sociale, nel pensare la famiglia non più come ci è stata data naturalmente e per noi, nella fede nel disegno di Dio, tanto che ritrovarsi per ribadire la bellezza della famiglia tradizionale che vede uomo, donna figli, con una donna non chiusa in casa, ma che riscopra la sua particolarità nella maternità e nella cura della famiglia stessa non è ritornare al medioevo, ma valorizzare la donna per quello che è nella sua peculiarità.

Anche oggi Cambiare uguale a conversione è un po’ lo slogan e l’imperativo che possiamo mettere alla Parola che abbiamo ascoltato.

A Gesù vengono presentati due fatti, due eventi drammatici, catastrofici che sono accaduti. Secondo quella che era una concezione del tempo si riteneva che le disgrazie fossero il frutto delle colpe che si commettevano. Questa concezione non poi scomparsa neppure oggi, quando di fronte ad eventi particolarmente dolorosi ci si rivolge a Dio dicendo: “Che cosa ho fatto per meritare questo?”

Dio interviene nella storia umana, ci ricorda la prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo e chiama Mosè e lo manda perché: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele».  Un Dio che abbiamo pregato nel Salmo; “Il Signore ha pietà del suo popolo…  compie cose giuste, difende i diritti di tutti gli oppressi.” è possibile che non operi a favore dell’uomo, ma contro l’uomo?
Gesù invita a guardare le disgrazie che accadono in un modo diverso.

Questi accadimenti sono delle provocazioni per un richiamo urgente alla conversione, al cambiamento di vita e del nostro modo di vivere la relazione con il Signore. Forse la gente si aspettava che Gesù denunciasse il barbaro comportamento di Pilato e l’incompetenza colpevole dei costruttori della torre, ma non fa così, anzi richiama con parole severe l’urgenza di un cambiamento.
“Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.

Parole che ci ricordano che tutti siamo peccatori e che necessitiamo di conversione, che non è più rimandabile questo cambiamento di vita che coinvolge tutte le sfere della nostra esistenza.

Se è così dobbiamo riconoscerci per quello che siamo davanti a Dio che è amore, giustizia, fedeltà, cioè debitori insolventi davanti a Lui. Malati che hanno bisogno di guarigione e di salvezza. Se non ci riconosciamo tali il nostro impegno di cambiamento sarà sempre rimandato ad un domani che non arriverà mai e non scopriremo la bellezza di un rapporto vero, sincero, pulito con il Signore. Se Dio ci insegue e ci incalza con il fuoco del suo amore, anche attraverso parole come quelle di oggi sulla bocca di Gesù è anche vero che questo cambiamento esige da parte dell’uomo una risposta responsabile che egli è chiamato a dare in quella libertà che Dio stesso gli ha concesso. Responsabilità, volontà e libertà vengono coinvolte nella risposta e nella concretizzazione pratica dell’accoglienza al cambiamento che occorre per essere nella prospettiva evangelica del Regno di Dio che Gesù proclama. Vorrei ricordare, ancora una volta, quello che diceva S. Agostino: “Chi ti ha creato senza di te, non ti redime senza di te”

Accogliere l’appello alla conversione è una questione di cuore, cioè d’amore nel Signore che presuppone la fede in Lui che ci proietta in quella dimensione di grazia che ci rende capaci di operare cose nuove, opere d’amore e di giustizia frutto dell’azione del Signore che opera in noi e attraverso noi.

Se le parole sono severe è anche vero che con la parabola del fico Gesù ci parla della pazienza di Dio. È Vero Dio è esigente e ci chiede delle cose impegnative, ma è anche molto, molto paziente con noi che rispondiamo con tempi spesso assai lunghi e che magari durano tutta una vita. Con la parabola del fico, Gesù, non ci vuole spaventare, ma vuole dirci attenzione

l’abbattimento del fico avverrà solo se il fico si ostinerà a non dare frutti. Mi piace pensare che il fico siamo noi quando siamo sordi ai richiami del Signore a vivere secondo il Vangelo, perché se viviamo il Vangelo, convinti non all’ acqua di rose, qualche frutto certamente arriverà.

Siamo poi anche molto fortunati, perché c’è il tempo della pazienza di Dio.

“Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”». Questo è il tempo quaresimale in cui il Signore ci offre ancora un’occasione e ci richiama al cambiamento. È anche il tempo della nostra  vita. Il Signore accorda a tutti un tempo di pazienza e di misericordia, ma questo non va a scapito del portare frutti. Quando ci presenteremo davanti al Signore ci dovrà essere qualcosa nelle nostre mani, nella nostra vita che indichi che abbiamo accolto il suo richiamo e che veramente qualcosa è cambiato in noi. È poi molto bello che il Signore non quantifichi. Doveva essere il fico pieno, poteva averne solo una parte, solo qualcuno … ma i frutti ci devono essere.

Gesù è venuto a zappare, a mettere il concime … ha zappato togliendo dal terreno arido del nostro cuore il peccato, ha concimato portando la buona notizia del Vangelo, la grazia e l’amore di Dio …  ci dona lui stesso nell’ Eucaristia che celebriamo, nutriti dal suo amore diventiamo uomini nuovi che sanno dare frutti secondo il Vangelo!

Deo gratias,qydiacdon

 

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