CHIESA E OMOSESSUALITA’ “Prudente audacia”, l’ultima trovata pro-gay di Avvenire

“Prudente audacia”. Ecco il nuovo paradigma confezionato da Avvenire per dare una spallata inavvertita all’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità. Un neologismo ossimorico che deve riassumere il nuovo approccio della Chiesa italiana dove le parole peccato e disordine morale non esistono più e dove l’accompagnamento, da sempre indicato dalla Dottrina come cammino indispensabile verso la castità, diventa di fatto uno sdoganamento dello stile di vita gay. A farsene portavoce è il quotidiano dei vescovi che ieri ha alzato il tiro con due pagine fitte fitte confezionate da Luciano Moia e il vescovo di Parma Enrico Solmi in qualità di ex presidente della Commissione episcopale per la pastorale familiare e coordinatore nella sua diocesi di alcune esperienze sul tema. A far da contorno numerose lettere pubblicate dal quotidiano dei vescovi in cui, con toni e accenti spesso opposti Avvenire dà spazio alle opinioni dei lettori sul caso di Staranzano.

Riassumiamo le precedenti puntate. A Staranzano, in provincia di Gorizia, il locale capo scout è convolato a unione civile con il suo compagno. Il parroco, don Francesco Maria Fragiacomo si è chiesto se non fosse il caso per lui di lasciare l’incarico educativo vista la scandalosa condotta di vita e il fatto che continuasse a fare la comunione indisturbato. Ne seguì un duro dibattito, culminato con un intervento del vescovo Carlo Roberto Maria Redaelli, riassumibile così: «Ascoltare lo Spirito, senza pretendere di trovare ricette preconfezionate nelle Scritture o nella tradizione canonica».
Risultato: il parroco è stato silenziato e il capo scout, Marco Di Just, non solo può continuare a fare come se nulla fosse successo, ma a settembre è stato anche riconfermato nello staff delle guide.
L’operazione di Avvenire è portata avanti partendo proprio dal caso di Staranzano, che viene soltanto accennato, senza ovviamente dire nulla sulla “battaglia in solitaria” del parroco. Si pubblicano diverse lettere sugli interventi precedenti di Avvenire culminati con l’intervento del vescovo: il lettore confuso, quello critico e quello entusiasta. Ma anche il genitore di un omosessuale; c’è chi ricorda che il Catechismo invita, correttamente, i gay alla castità, e chi giudica gli atti, ma non le persone e chi, omosessuale, si augura che la “Chiesa saprà valorizzare anche la mia scelta”.
Ma il cuore dell’operazione editoriale del giornale dei vescovi sono i due articoli di Moia e di Solmi. Nel primo il giornalista indica come punto di partenza il paragrafo 250 di Amoris Laetitia per arrivare a dire: «Occorre tenere presente quello che il Papa dice, ma ancor di più quello che non dice». Che cosa vuol dire? Semplice: secondo un’ermeneutica del tutto arbitraria Moia si rallegra del fatto che l’esortazione post sinodale non citi più la Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, nella quale il cardinal Ratzinger apriva ad un percorso di castità per gli omosessuali e il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1997, dove nell’affrontare il problema dell’omosessualità, le relazioni e gli atti non si risparmia nel defnirle oggettivamente disordinate o peccati. Secondo Moia, il fatto che al paragrafo 250 Papa Francesco pur avendo citato parti di questi documenti, non abbia fatto riferimento al disordine morale non può essere considerato certo un vita libera, ma nemmeno una dimenticanza. E allora? Allora entra in campo il discernimento, parola passe-partout dei tempi moderni che sembra aver preso il sopravvento su tutto.

Ed è infatti sull’onda del discernimento e della riflessione che il vescovo Solmi racconta le esperienze portare avanti nella sua diocesi, dove, a proposito del rapporto con le famiglie, con “l’onestà si verifica e con prudente audacia la comunità cerca e prova nuove vie”. Inutile spiegare che il 250 di AL è rivolto soprattutto alle famiglie di persone con figli omosessuali, il tono del prelato è sempre il solito dell’accoglienza, non per “riscrivere la dottrina”, però tenendo presente che “a volte i preti hanno ferito” o che “a volte la comunità cristiana non è stata esente da pregiudizi e giudizi superficiale”. Si fa strada così un senso di colpa collettivo nel quale la pratica omosessuale viene svuotata del suo portato disordinato, per diventare un qualche cosa di indefinito, senza mai essere proposta come variante naturale della sessualità, ma nemmeno come peccato. La parola d’ordine per i vescovi è ora discernere e riflettere, non più insegnare e guidare.
Completamente assente l’aspetto educativo della faccenda di Staranzano: non c’è nessuna valutazione sul fatto che il messaggio educativo di un capo scout che vive con un compagno sia deleterio per i giovani che in questo modo percepiscono una equiparazione tra la condotta di vita naturale e quella in unione civile, snaturando di fatto il matrimonio tra uomo e donna, come dettato da legge naturale ancora oggi.

Ma nemmeno c’è spazio per il sacerdote che, da solo, ha “sfidato” i luoghi comuni delle tendenze ideologiche e omoeretiche presenti nella Chiesa per annunciare ancora una volta la verità sull’uomo della dottrina cristiana.
Don Francesco Fragiacomo ha letto la pagina di Avvenire con un misto di soddisfazione e dolore: «Soddisfazione – spiega alla Nuova BQ – perché finalmente Avvenire fa parlare anche i lettori, cosa che in precedenza non aveva voluto fare, ma dolore perché non si continua ad affrontare correttamente il problema: per fare un buon discernimento devi capire prima qual è il bene e qual è il male, devi avere una chiarezza di qual è l’ideale di bene, invece da questi articoli si allude al fatto che va bene un unione tra uomo e un uomo».
Per provare a farsi intendere il sacerdote fa un esempio mutuato dal campo medico: «Per fare una buona cura devi fare una buona diagnosi e per fare una buona diagnosi devi sapere dov’è la parte sana e dov’è quella da curare». Aggiunge «che qui non c’è stato nessun accompagnamento e nessun discernimento tanto è vero che il capo scout è ancora al suo posto indisturbato, anzi: l’unico discernimento che hanno fatto quelli dell’Agesci è stato con la locale sezione dell’Arcigay!”.
Don Francesco ha raccontato alla Nuova BQ delle sue difficoltà persino a farsi accettare dai suoi confratelli, come aveva già fatto pubblicando sulla sua pagina Facebook la lettera che scrisse al decanato di Gorizia stupendosi della mancata solidarietà da parte dei confratelli. «Il fatto che la Chiesa abbia sempre proposto la via della castità c’entra ancora? Alla fine con questo parlare noi non conosciamo l’omosessualità, ad esempio crediamo che sia di nascita invece è un disturbo dello sviluppo affettivo e questo è dimostrato».
Senza solidarietà, senza possibilità di farsi ascoltare, don Fragiacomo considera ora la naturale conclusione del caso Staranzano come prodromica ad uno sdoganamento tout court della pratica omoerotica per via pastorale: «Siccome nella Scrittura c’è la condanna dell’omosessualità, se adesso non dici più che è peccato, la conclusione è che il Vangelo è vecchio e non è adatto ai tempi di oggi. Quindi bisogna farsi un Vangelo plasmato sull’uomo. Mi chiedo soltanto questo: se si “ricaccia” Gesù in un tempo passato, come appunto un uomo del suo tempo, tutto diventa relativo, perché verranno meno i criteri oggettivi”.
Ma ormai è tempo della prudente audacia.

Andrea Zambrano- in La NBQ

 

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