Amoris laetitia, la gran disputa sulle interpretazioni Pubblicato il 03/06/2016 in sinodo2015.

 

In questi giorni è uscito nelle librerie e nei principali bookstore on-line “La famiglia controversa” di Lorenzo Bertocchi e Matteo Matzuzzi, Ed. Castelvecchi, Roma. Il libro ricostruisce quasi tre anni di dibattito sinodale: dal settembre 2013, quando un piccolo ufficio di Friburgo in Germania invitava i sacerdoti locali a dare la comunione ai divorziati risposati, passando per le due assemblee sinodali dell’ottobre 2014 e 2015, fino alla pubblicazione di Amoris laetitia. Il dibattito in aula, libri scomodi e conferenze stampa impreviste, la Chiesa che affronta un tema fondamentale del nostro tempo, mentre attraversa uno dei momenti più rilevanti della sua storia recente.

Trascorsi ormai due mesi dalla pubblicazione dell’esortazione post-sinodale Amoris laetitia ciò che sembra emergere è una pluralità di interpretazioni del documento, almeno per quanto riguarda la questione più dibattuta sul discernimento e l’integrazione delle cosiddette coppie “irregolari”. Più precisamente: per l’accesso all’eucaristia delle coppie di divorziati risposati. Il resto del testo, per quanto il Papa abbia indicato di leggerlo nella sua interezza, rimane dietro le quinte.

Secondo il filosofo polacco Stanislaw Grygel «alcuni dei nostri pastori e “arcipastori” (…) Entrano in un vicolo cieco quando comunque pretendono che il pensiero pratico sui matrimoni falliti si appoggi anche su una piccola parola – ‘ma’ – che permetta loro di costruire commenti casistici con i quali giustificare l’adulterio. Propongono una casistica ‘sì, ma’».       
In effetti, tutti assicurano che nessun cambiamento dottrinale è in corso, ma la via pratica dell’integrazione parrebbe essere sostenuta dalla «logica del “ma anche”», secondo una definizione coniata dal celebre vaticanista della televisione di Stato italiana, Aldo Maria Valli. «Quanto alla ‘vexata quaestio’ circa la comunione ai divorziati risposati – si chiede Aldo Maria Valli – qual è la conclusione? Dopo aver letto e riletto il testo più e più volte, la risposta è: comunione sì, ma anche no. Oppure: comunione no, ma anche sì. Nel documento, in effetti, entrambe le conclusioni sono legittimate. A ciò conduce la logica del caso per caso, a sua volta figlia dell’etica della situazione. Mi devo considerare un peccatore? Sì, ma anche no. No, ma anche sì. Dipende.».

Seguendo le parole del cardinale Schönborn, a cui il Papa ha detto di fare riferimento per comprendere Amoris laetitia, la vera novità del documento è una “conversione pastorale” che animi il “discernimento delle situazioni” con uno sguardo misericordioso. In un certo senso però lo stesso Schonborn ha poi confermato quanto Grygel e Valli hanno messo nero su bianco con una certa dose di critica. «Il discernimento – ha detto il cardinale durante la conferenza stampa di presentazione – per natura sua comporta una certa incertezza (…) E anche per questo sempre sarà così: un prete forse sarà un po’ più disposto a una visione più larga, un altro sarà forse un po’ più timoroso, più severo nel discernimento».

Quindi dobbiamo considerare che una certa indeterminatezza sembra far parte del testo, una indeterminatezza che appare voluta, proprio per quella “conversione pastorale” di cui anche Evangelii gaudium parlava esplicitamente. Secondo Schönborn però questa “novità” sarebbe del tutto in continuità con il Magistero precedente, anzi ne costituirebbe uno “sviluppo organico”.

Il cardinale Carlo Caffarra, intervenuto recentemente sull’esortazione, si è concentrato su di una domanda: «Amoris laetitia insegna che i divorziati risposati possono accedere all’eucaristia continuando a vivere more uxorio?». E la sua risposta è: «No». Perchè, aggiunge uno dei più autorevoli partecipanti al doppio sinodo, «nessuno mette in discussione che fino ad Amoris laetitia questa era la risposta del magistero (Cfr. le esortazioni Familiaris consortio n. 84 e Sacramentum caritatis n. 29, il canone 915 del CIC con interpretazione data dal Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi del 20/06/2000, il Catechismo al n°1650 e l’enciclica Ecclesia de Eucaristia n.37) Perciò – dice l’arcivescovo emerito di Bologna – «se Francesco avesse voluto introdurre un cambiamento avrebbe dovuto dirlo chiaramente ed espressamente. E in nessuna parte del testo si legge questo».

Ma il conflitto delle interpretazioni, lo dice lo stesso Caffarra, c’è, e mostra che «il testo non è chiaro». Peraltro le varie presentazioni del documento che si stanno facendo nelle diocesi, anche solo considerando quelle italiane, mostrano che vi sono teologi, prelati e persino vescovi, che parlano apertamente di “novità” e, qualcuno anche di vera e propria “rottura” nel caso specifico.

Da questo punto di vista bisogna ammettere che il fedele fa una certa fatica a comprendere le parole del cardinale Schönborn quando parla di “sviluppo organico”. Sarà per questo che si vocifera di una qualche iniziativa messa in atto da porporati per chiedere al Papa una interpretazione autentica della questione specifica, sopratutto per far luce su alcune note del capitolo VIII (351 e 329 su tutte) che si prestano ad una prassi a velocità variabile.

Dopo quasi tre anni di dibattito sinodale rimane ancora quello che è emerso fin dal febbraio 2014, quando il cardinale Kasper lanciò il sasso con la sua celebre relazione al concistoro “segreto”. Rimane cioè una profonda disputa che interessa la Chiesa tutta, apparentemente su di un tema periferico, mentre la tocca nel profondo della pastorale e delle dottrina. Si confrontano visioni diverse della teologia morale, della coscienza e, in fondo, del peccato e della grazia. Una disputa che viene da lontano, basti pensare all’avversione che ricevette l’encilica Humanae vitae del Beato Paolo VI nel 1968. Sul terreno della famiglia e della sessualità sembra davvero giocarsi la ridefinizione delle identità ecclesiali e dei paradigmi pastorali della Chiesa.

La Nuova Bussola Quotidiana

 

 

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