Provvidenza e attesa – XIX Domenica C

 

Se fate mente locale e richiamate il Vangelo di Domenica scorsa (Lc 12, 13-21), Gesù ci esortava a non confidare nei beni , a non cedere a quella falsa sapienza mondana che insinuandosi nel cuore degli uomini li istiga ad accumulare e a possedere. Ci veniva detto che l’ uomo non vale per quello che ha, ma per quello che è: e noi siamo Figli di Dio! In questa certezza se viviamo in una situazione di agiatezza non dovremmo lasciarci prendere da nessun affanno sregolato dall’ ansia del possedere, ma anche da nessun timore se siamo nella ristrettezza, fiduciosi proprio di questo fatto: essere Figli di Dio.

Dio che è Padre è provvidente, ha cura di noi. La sua Provvidenza è più grande di ogni modalità e di ogni atto di previdenza che noi possiamo attivare, di ogni assicurazione sulla vita, sugli infortuni, sulle calamità naturali.Quello che noi abbiamo e possediamo, anche se mediato dal nostro lavoro e dalla nostra intelligenza è sempre e comunque un dono che ci viene elargito dall’ Alto.     

Occorre però crederci, come hanno fatto i santi!

Giovanni Maria Vianney racconta questo episodio:

Viene riferito di due artigiani, che esercitavano lo stesso mestiere e che dimoravano nel medesimo borgo, che uno di essi, carico di una grande quantità di bambini, non mancava mai di ascoltare ogni giorno la santa Messa e viveva assai agevolmente con il suo mestiere; mentre l’altro, che pure non aveva bambini, lavorava parte della notte e tutto il giorno, e spesso il santo giorno della domenica, e a mala pena riusciva a vivere. Costui, che vedeva gli affari dell’altro riuscirgli così bene, gli chiese, un giorno che lo incontrò, dove poteva prendere di che mantenere così bene una famiglia tanto grande come la sua, mentre lui, che non aveva che sé e sua moglie, e lavorava senza posa, era spesso sprovvisto di ogni cosa.
L’altro gli rispose che, se voleva, l’indomani gli avrebbe mostrato da dove gli proveniva tutto il suo guadagno. L’altro, molto contento di una così buona notizia, non vedeva l’ora di arrivare all’indomani che doveva insegnargli a fare la sua fortuna. Infatti, l’altro non mancò di andare a prenderlo. Eccolo che parte di buon animo e lo segue con molta fedeltà. L’altro lo condusse fino alla chiesa, dove ascoltarono la santa Messa. Dopo che furono tornati: “Amico, gli disse colui che stava bene a suo agio, torni pure al suo lavoro”. Fece altrettanto l’indomani; ma, essendo andato a prenderlo una terza volta per la stessa cosa: «Come? – gli disse l’altro. Se voglio andare alla Messa, conosco la strada, senza che lei si prenda la pena di venirmi a prendere; non è questo che volevo sapere, bensì il luogo dove trova tutto questo bene che la fa vivere così agiatamente; volevo vedere se, facendo come lei, posso trovarvi il mio tornaconto». «Amico, gli rispose l’altro, non conosco altro luogo oltre la chiesa, e nessun altro mezzo fuorché l’ascoltare ogni giorno la santa Messa; e quanto a me, le assicuro che non ho adoperato altri mezzi per avere tutto il bene che la stupisce. Ma lei non ha letto ciò che Gesù Cristo ci dice nel Vangelo, di cercare anzitutto il regno dei cieli, e che tutto il resto ci sarà dato in soprappiù?».

Capite la differenza?
Uno si preoccupa con angoscia, l’ altro si occupa con fiducia, uno vuole possedere e accumulare, l’ altro riceve in dono per donare. Così Gesù nella prima parte del vangelo che abbiamo letto continua a richiamarci sui beni chiedendoci di verificare qual’ è il tesoro che noi andiamo cercando nella nostra vita.

Vi è però un’altra esortazione importante che il Signore oggi ci rivolge: vivere la nostra vita in un atteggiamento di vigilante attesa.

Dobbiamo essere consapevoli che la nostra vita è l’ attesa di un incontro con il Signore Gesù, che cammina già accanto a noi e lo sperimentiamo nella fede, ma che noi siamo in attesa di incontrarci con lui faccia a faccia, come ricorda Paolo scrivendo ai Corinti: Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia.( 1 Cor 13) . Attesa nella consapevolezza che noi qui siamo transitori, che questa non è la nostra patria, che noi sulla terra siamo stranieri e pellegrini.

Le vesti strette ai fianchi indicano, la tenuta da lavoro, di servizio, da viaggio, ad indicarci che il tempo dell’ attesa non è un tempo vuoto, è tempo di grazia, di salvezza, di misericordia in cui sapere riconoscere la presenza del Signore per dire di si alla sua volontà ed operare di conseguenza. Vivere la preghiera, rimanere in Grazia di Dio attraverso la partecipazione attiva e fruttuosa ai Sacramenti, agire in una Carità operosa.

Coscienti che dovremo rendere conto di come abbiamo vissuto, dei doni che ci sono stati dati e dell’ amore donato, perché ci sarà un giudizio, e speriamo nella misericordia del Signore, ma “ a chi è stato dato di più verrà chiesto di più”.

Se questo vale per ciascuno di noi vale anche come comunità cristiana, come chiesa, che sta vivendo un momento difficile, delicato della sua storia per cui occorre tanta preghiera. Occorre invocare lo Spirito santo che doni ai pastori accortezza e lungimiranza per guidare il gregge che è stato loro affidato, fra le tempeste di questo tempo, che si abbattono sulla navicella di Pietro.

Viviamo l’ attesa tenendo viva davanti al mondo la luce del Signore Gesù, non avendo paura di testimoniare il Vangelo, camminando mettendo i nostri passi nei suoi passi.

Deo gratias qydiacdon

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