E’ proprio vero che la “maggior parte” dei matrimoni sono nulli?

 

La nota rivista statunitense First Thing ha pubblicato alcune interessanti considerazioni del prof. Edward Peters, docente di diritto canonico al Seminario maggiore di Detroit (USA), che hanno fatto seguito alle dichiarazioni di Papa Francesco del 16 giugno scorso sull’invalidità della maggior parte dei matrimoni, affermazioni poi “ridimensionate” nel testo scritto, sostituendo “la maggioranza” con “una parte dei matrimoni”.

Resta il fatto che l’esternazione di Bergoglio sull’argomento ha fatto sobbalzare sulla sedia tanti semplici fedeli e non pochi che sanno cosa significhi realmente provare la nullità di un matrimonio. Cosa non così semplice e non così universalmente pacifica. Il prof. Peters è tra questi. Un’affermazione del genere è stata possibile solo «evitando un punto cruciale sul matrimonio, ossia che esso è fondamentalmente un contratto». «La Chiesa insegna che gli uomini sono naturalmente fatti per contrarre un matrimonio ed insegna che le coppie cristiane possono disporsi a ricevere le grazie del sacramento del Matrimonio vivendo l’unione che hanno contratto». Il Matrimonio naturale, elevato per i cristiani a sacramentale, è sempre stato considerato come qualcosa di conforme alla natura umana, qualcosa che perciò non necessità di chissà quale particolare consapevolezza e preparazione per essere validamente contratto. Con questa dichiarazione invece sembrerebbe che «la maggior parte di quel miliardo di cattolici presenti nel mondo abbia fallito nel realizzare quello stato di vita che gli è naturale in quanto adulti e non abbia ricevuto il sacramento che Cristo ha voluto per aiutarli». La possibilità di contrarre validamente un matrimonio sembra dunque essere diventato appannaggio di una élite particolarmente consapevole e preparata.    

Secondo Peters, con questa esternazione, Papa Francesco sembra aver confuso la reale e sempre più crescente difficoltà a restare fedeli agli impegni presi nel contrarre il matrimonio, con le disposizioni minime richieste affinché tale matrimonio sia contratto validamente.

Il riferimento alla diffusa ignoranza circa le proprietà del matrimonio ed agli impegni che esso comporta non è sufficiente per concludere che allora gran parte dei matrimoni siano nulli. Infatti, «le norme canoniche relative al matrimonio… – ripeto – non contemplano che “l’ignoranza” circa l’indissolubilità del matrimonio, o una ridotta valutazione della indissolubilità di esso, o alcune imperfezioni nella comprensione del concetto di indissolubilità, rendano nullo un matrimonio… non c’è un’equivalenza tra ignoranza e nullità nel diritto canonico». Affinché vi sia una nullità, l’ignoranza dev’essere tale da «”determinare la volontà” (can. 1099 ss.). Questo termine medio nell’argomento di nullità, omesso da Francesco… è assolutamente vitale… Non è sufficiente mostrare che qualcuno era “ignorante” circa l’indissolubilità per provare la nullità. Si deve anche mostrare che detta ignoranza viziava la volontà con cui si intendeva contrarre il matrimonio». Cosa tutt’altro che scontata da dimostrare e pacifica da presumere.

E’ chiaro dunque che, secondo Peters, risulti pastoralmente incauto «insinuare che l’ignoranza circa l’indissolubilità del matrimonio sia pandemica tra i cristiani ed è canonicamente impossibile sostenere che la mera ignoranza su questo punto renda alcuni matrimoni sacramentali – figurarsi poi la maggior parte – invalidi… In breve, la natura umana non è così facilmente frustrata e i sacramenti della Chiesa non sono così frequentemente nulli». (LS)

Pubblicato il 28/06/2016 in sinodo 2015

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