È possibile ancora pregare dopo Auschwitz?

Di fronte al male insensato e alla sofferenza dei piccoli e degli innocenti, si reagisce spesso con una forma di rigetto nei confronti di Dio

Nel 1967, il filosofo ceco Milan Machovec chiese al teologo cattolico tedesco Johann Baptist Metz se i cristiani potessero ancora pregare dopo Auschwitz. Metz rispose: “Possiamo pregare dopo Auschwitz perché la gente ha pregato ad Auschwitz” . Quindi, sì è possibile pregare perché ebrei e cristiani sono morti recitando lo Shema’ Jisra’el ed invocando il Padre nostro.

È possibile pregare soprattutto per il cristiano che fonda la possibilità della sua preghiera nella situazione di silenzio e di abbandono da parte di Dio, sull’invocazione che Gesù ha fatto sulla croce: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34; Mt 27, 46).

È possibile, perché nell’inferno dei lager è proseguita la storia della santità, da Edith Stein a Dietrich Bonhoeffer, a san Massimiliano Maria Kolbe, ai tanti ebrei e cristiani che sono stati modelli luminosi di vita e spiritualità come Etty Hillesum, senza nome e senza senza volto.

Di fronte al degenerare della violenza umana, in ogni sua forma, c’è da chiedersi allora se è ancora vivo il senso di umanità nell’uomo, se è ancora vivo il desiderio di rapporto con la realtà di Dio. Allora la domanda da fare non è “dov’era Dio ad Auschwitz?” ma “dov’era l’uomo?”.

E voi…che risposta date?

Mirko Testa in Aleteia

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